Università degli Studi di Roma
“La Sapienza”
Corso di Laurea in Sociologia
“Razzismo
e identità nel pensiero di Malcolm X”
Relatore:
Prof. Franco Ferrarotti
Correlatore:
Prof. Augusto De Vincenzo
Laureanda:
Federica Mereu
Anno Accademico 1995/1996
A mia madre, a mio padre
e a tutte
le sorelle e i fratelli
in lotta
per la giustizia.
Poiché l’ingenuità è alla base di ogni entusiasmo,
spero che mi verranno perdonate
l’una e l’altro.
INDICE
PREFAZIONE |
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Perché ho scelto Malcolm X. |
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INTRODUZIONE |
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“The Hate That Hate Produced”. Apologia
dell’odio. |
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I. |
Cenni storici sulla
“questione razziale” negli Stati Uniti d’America. |
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I.1. |
Il “problema negro”. Il razzismo come
caratteristica strutturale del sistema. |
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I.2. |
Le nuove forme di sfruttamento e di razzismo. |
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I.3. |
Gli Afro-Americani come avanguardia del movimento
rivoluzionario americano. |
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I.4. |
La riscoperta del marxismo. |
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I.5. |
Il materialismo del razzismo. Il rapporto
dialettico tra struttura e sovrastruttura in Marx ed Engels. |
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I.6. |
Il caso americano e la specificità della
condizione sociale dei neri. |
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I.7. |
Storia della legislazione sui diritti civili dei
neri. |
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II. |
Il movimento nero negli
Stati Uniti d’America tra integrazionismo e nazionalismo. |
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II.1. |
La doppia anima del movimento. |
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II.2. |
La fase pre-politica: La Chiesa Nera e la
Teologia Nera della Liberazione. “Cristo è nero!” |
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II.3. |
Lo sviluppo del movimento nero: dal Civil Rights Movement al Black Power. |
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Parte I -
Gli Integrazionisti |
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II.4. |
Martin Luther King e la “Southern Christian Leadership Conference”
(SCLC). “Giustizia senza violenza”. |
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II.4.1. |
La vita. |
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II.4.2. |
Il metodo: resistenza non violenta. |
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II.4.3. |
Questione dell’autodifesa e della violenza. |
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II.4.4. |
Gli obiettivi politici: l’integrazione e il riconoscimento
dei diritti civili. |
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II.4.5. |
Differenze e complementarietà tra Martin e
Malcolm. |
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II.5. |
La National Association for Advancement of Colored People (NAACP). |
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II.6. |
Il Congress on Racial Equality (CORE). |
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II.7. |
Lo Student Nonviolent Coordinating Commitee (SNCC). |
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II.8. |
Situazione attuale delle organizzazioni nere. |
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Parte II - I Nazionalisti |
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II.9. |
L’UNIA di Marcus Garvey. “God is black
!” |
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II.10. |
La Nation
of Islam (NOI). |
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II.10.1. |
Da W.D. Farad ed Elijah Muhammad a Malcolm X. |
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II.10.2. |
Louis Farrakhan. |
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II.10.3. |
La “One million men march” del 16 Ottobre 1995. |
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II.10.4. |
La strategia. |
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II.11. |
Il Father Divine’s Cult. |
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II.12. |
Il Black Panther Party for
Self-Defense (BPP). |
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III. |
Malcolm X leader
dell’istanza separatista. |
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Parte I |
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III.1. |
Infanzia e adolescenza. |
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III.2. |
La mentalità del trafficante. |
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III.3. |
Conversione all’Islam. |
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III.4. |
Organizzazione e regole della Nation of Islam. |
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III.5. |
Pastore del Tempio n°7 di New York city. |
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III.6. |
La rottura. |
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Parte II |
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III. 7. |
La religione come fonte di identità. |
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III.7.1. |
La soluzione dei problemi dei neri d’America:
l’Islam. |
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III.7.2. |
Il concetto di identità. |
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III.7.3. |
Conseguenze della perdita di identità. |
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III.7.4. |
Controversia sull’autodefinizione. |
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III.7.5. |
Perché proprio l’Islam. |
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III.7.6. |
L’opera di Maometto: la riforma morale e sociale
del popolo arabo. |
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III.7.7. |
La natura malefica del cristianesimo in Friedrich
Nietzsche. |
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|
Parte III |
|
III.8. |
Lezioni fondamentali della Nation of Islam. |
|
III.8.1. |
Il razzismo della Nation of Islam. “White
man is the devil”. |
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III.8.2. |
L’obiettivo politico della Nation of Islam: il separatismo. |
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III.9. |
L’oratoria di Malcolm X. Liberazione attraverso
il linguaggio. |
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III.10. |
I primi discorsi del pastore Malcolm X. |
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IV. |
L’Organizzazione per
l’Unità Afro-Americana (O.A.A.U.). Le idee fondamentali. |
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IV.1. |
La Muslim
Mosque, Inc. |
|
IV.2. |
L’Organizzazione dell’Unità Afro-Americana
(O.A.A.U.). |
|
IV.3. |
La questione delle alleanze: il possibilismo
programmatico. |
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IV.4. |
Il pellegrinaggio alla Mecca. |
|
IV.5. |
La questione del razzismo. |
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IV.5.1. |
Malcolm ripudia il razzismo. |
|
IV.5.2. |
La vera causa del razzismo: il sistema
capitalistico. |
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IV.6. |
L’unica soluzione: la rivoluzione. |
|
IV.7. |
Il nazionalismo nero rivoluzionario. |
|
IV.8. |
Capitalismo e socialismo. |
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IV.9. |
La questione dell’autodifesa. |
|
IV.10. |
Diritti umani e diritti civili. |
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IV.11. |
I successi di Malcolm al “Vertice africano” dell’OAU. |
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IV.12. |
Internazionalizzazione della lotta degli
Afro-Americani. Il colonialismo interno. |
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IV.13. |
“La scheda o il fucile” (“The ballot or the bullet”). |
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V. |
Conclusione |
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La “Domenica nera della Audubon Hall”.
L’assassinio di Malcolm X. |
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Appendice 1 – Dichiarazione Programmatica
dell’OAAU |
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Appendice 2 – Programma Unitario di Base
dell’OAAU |
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Bibliografia |
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“The Hate That Hate Produced” [1]
Apologia dell’odio
“Se
farai un passo verso Allah, Allah farà due passi verso di te”
La fase dell’odio e della rabbia, momento di antitesi nel
processo dialettico della trasformazione ideologica di Malcolm X, è un momento
da rivalutare come risposta profondamente umana e forse necessaria al modo di
funzionare della società razzista americana.
E’ proprio attraverso questa fase intermedia del rifiuto
della società dei bianchi che i neri possono riacquisire identità di gruppo,
orgoglio e consapevolezza. Ma tutto ciò deve essere visto come una fase del
movimento dialettico che dovrà essere superata in una sintesi superiore di
alleanza tra tutti i gruppi oppressi, indipendentemente dalle differenze del
colore della pelle, per abbattere la struttura di potere del capitalismo
americano.
Da “nigger[2]”
di campagna, da delinquentello del ghetto, drogato e senza speranze, uno dei
tanti parassiti della ricca società americana, Malcolm Little é riuscito a diventare
un uomo colto, un grande oratore, uno spirito critico, un leader carismatico
per il suo popolo sbandato di so-called-negroes
dei bassifondi metropolitani, nati e
cresciuti con la convinzione di essere servi di Whitey (l’uomo bianco nello
slang del ghetto) per natura e in
condizione di inferiorità interiorizzata da quattrocento anni.
Inizialmente Malcolm ha saputo infuocare i suoi seguaci
attraverso l’odio, scatenato da una nuova coscienza storica e religiosa che gli
ha permesso di riconquistare la dignità
e l’“orgoglio di razza” perduti da secoli a causa del lavaggio del cervello
subito negli anni della schiavitù. Ciò era possibile solo combattendo gli
oppressori con la loro stessa arma: l’odio.
L’obiettivo di Malcolm era ricostruire nella sua gente una
forte identità, l’identità afro-americana, con la coscienza di un grandioso
passato in Africa e di un futuro di lotte per la libertà sostanziale in
America.
La sua strategia dell’odio e della contrapposizione aveva
avuto successo fin dall’inizio, perché l’uomo é disposto a cambiare lo stato
delle cose solo in vista di una grande conquista, di qualcosa per cui valga
veramente la pena di lottare. E l’obiettivo, in un primo momento, non era l’integrazione, ma la completa
separazione. Malcolm disprezzava la lotta per l’integrazione nella società
americana attraverso l’acquisizione dei diritti civili, tanto reclamati dai
cosiddetti “zii Tom”, “quei negri fantocci
imborghesiti sempre al servizio dei bianchi”; secondo Malcolm l’integrazione
non era la soluzione, non avrebbe mai portato i neri allo stesso livello dei
bianchi, semmai avrebbe permesso la loro assimilazione all’interno della
cultura wasp[3],
il che equivaleva alla totale distruzione e negazione dell’identità africana,
peraltro già morta e sepolta.
Malcolm é riuscito a risvegliare e a scatenare la comunità
afro-americana, resa innocua dall’ignoranza istituzionalizzata, potente mezzo
di controllo sociale, dalla perdita della memoria storica e dalla forzata
rottura con le proprie radici africane, inizialmente attraverso l’odio, il
fanatismo religioso e ideali seperatisti.
Posizioni radicali, dunque, e inaccettabili per chi odia
il razzismo e auspica una società multietnica e multiculturale, ma
assolutamente comprensibili e forse indispensabili e necessarie come ribellione
istintiva al razzismo istituzionalizzato nel sistema americano.
La situazione sociale americana era grave e i neri
rappresentavano la fascia più povera e disperata della società, vivevano in uno
stato di incoscienza ideologica, di totale dipendenza, economica, politica e
psicologica dai bianchi, incapaci di riscattarsi.
Inoltre quei neri dei ghetti che conducevano una
vita dissoluta e immorale, disposti a fare i lavori più sporchi per conto dei
bianchi, non facevano altro che danneggiarsi e peggiorare le proprie condizioni
di vita, perché, in questo modo, confermavano tutti i tipici stereotipi
dell’immaginario popolare attribuiti al “cosiddetto negro”, secondo i quali
egli è sempre immorale, inferiore, indolente, ignorante, pigro, disonesto e
naturalmente incapace di condurre un’esistenza degna di un essere umano civile.
La degradazione fisica e morale in quei luridi
ghetti era prevista e funzionale al sistema di potere americano capitalistico:
facevano comodo questi niggers disadattati
da sfruttare, talmente imbottiti di stupefacenti da essere incapaci di
ragionare con la propria testa e di reagire.
Ma cosa sarebbe successo se ne fossero resi conto?
Il finimondo, la guerra, la rivoluzione, il collasso degli Stati Uniti
d’America. I neri un giorno sarebbero risaliti per gli ultimi quattrocento anni
della loro storia fino alle radici originarie in Africa, da cui erano stati
strappati con la violenza per essere portati nelle navi negriere in un nuovo
continente e sfruttati come schiavi.
Ciò avrebbe fatto scoppiare una rivoluzione,
eventualità che lo “zio Sam”[4]
voleva assolutamente evitare. Per questo scopo furono usate molte strategie:
l’antico e collaudato “Divide et Impera”,
le illusioni dell’“American dream”,
l’oppio della speranza in un progresso futuro delle condizioni dei neri, la
mancanza di un legame tra i proletari neri con la classe operaia bianca,
l’assenza di sindacalizzazione, la disinformazione e l’ignoranza sempre
prontamente garantite agli Afro-Americani.
La posta in gioco era altissima: il controllo delle
risorse nazionali e l’utilizzo di una manodopera a costo bassissimo.
Riesce difficile capire come gli
Stati Uniti siano riusciti ad evitare il peggio: per loro é stato certamente un
miracolo.
Negli anni cinquanta e sessanta i neri d’America
erano potenzialmente pronti a essere svegliati dal loro torpore, erano materia
infiammabile e il messaggio rivoluzionario di Malcolm accese la miccia.
La storia americana, fin dalle origini, si era
macchiata di crimini orribili, di genocidi, di ogni tipo di oppressione e
sfruttamento, mentre al mondo intero dichiarava i suoi mitici valori: patria
della libertà, della giustizia e della democrazia.
Per Malcolm “chi non odia il suo oppressore é un
criminale, perché gli permette di opprimere”; per lui l’odio non era un fine,
ma un mezzo per reagire contro chi odia. Non é forse giustificato l’odio degli
Ebrei per i Nazisti? E allora é necessario comprendere il senso dell’odio in
questo primo momento del pensiero politico di Malcolm X, quando era il
“Ministro Nazionale della Nation of Islam”;
odio verso tutti i bianchi, “i diavoli dagli occhi azzurri”, odio pieno di
rancore, catartico e liberatore, finalizzato a far sì che la comunità
afro-americana prendesse coscienza delle
proprie condizioni e reagisse.
“Malcolm
X è stato un caso straordinario (di chi) mette al servizio di scopi perversi
innegabili doti individuali, (con la sua) implacabile e fanatica fede nella
violenza, (che lo ha destinato) ad una morte violenta”.
[“The New York Times” 22 Febbraio
1965].
La stampa americana, come ci si poteva aspettare,
ha concentrato la sua attenzione su questo punto: l’odio. Malcolm veniva
accusato soprattutto perché “seminava odio”, ma coloro che hanno ascoltato o
letto i suoi discorsi sanno che egli non invitava alla violenza, ma rivendicava
il diritto dei neri di difendersi se attaccati, con ogni mezzo necessario,
anche con la violenza.
“Il nero d’America non può essere
assolutamente biasimato per il suo odio, sta solo reagendo a quattrocento anni
di oppressione, sfruttamento e discriminazione”. “Che il bianco chieda al negro
se é vero che questi lo odia, é come se il lupo chiedesse all’agnello: mi odi?
L’uomo bianco non é nella posizione morale di accusare di odio nessun altro che
se stesso...Credo nell’ira. La Bibbia dice che c’é anche un tempo per l’ira” [Malcolm
X 1992: 287].
Una volta uscito dalla setta islamica e in seguito
a numerosi viaggi in Africa e in Medio Oriente, Malcolm superò queste posizioni
di odio in una nuova visione secondo cui non si deve giudicare le persone per
il colore della loro pelle ma per le loro azioni.
Malcolm, nato nel 1925 nel Nebraska, nel Sud dove
c’era gente incappucciata che linciava uomini, donne e bambini solo perché il
loro colore era nero, sperimentò sulla sua pelle ogni orrore di quegli anni.
Malcolm era il risultato della violenza del sistema
americano razzista, antidemocratico e ipocrita che denunciava ad alta voce il
razzismo nazista, mentre tollerava al suo interno il linciaggio, la
discriminazione e una macroscopica povertà basata sul principio
dell’appartenenza razziale.
Arrivato nel 1942 a New York, Malcolm era entrato
nel mondo della malavita di Harlem, attratto dai ghetti negri e dai gangsters che lo popolavano e convinto
che per un “nigger” quello fosse
l’unico modo di avere un po’ di dignità e di
ottenere rispetto dagli altri.
Emarginazione, spaccio di droga, ogni tipo di
traffico illecito, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo
clandestino e piccola criminalità d’ogni specie erano la sua quotidianità, fino
al 1945 quando finì in carcere per furto con scasso, aggravato dalla complicità
con due donne bianche e borghesi. In prigione si convertì all’Islam e diventò
un uomo.
A quali altre conclusioni sarebbe potuto arrivare
un ragazzo di poco più di vent’anni se non di odio profondo?
Conquistata in cella la capacità di leggere
capendo, di giudicare e smascherare con
nuova coscienza critica le antiche e recenti violenze dei bianchi per
costringere gli Afro-Americani in schiavitù fisica e mentale e il loro continuo
sfruttamento all’interno della società bianca, come sarebbe stato possibile che
non assumesse come principio l’odio e
la rabbia e come scopo la definitiva e completa separazione dai “diavoli bianchi”?
Non si comprendono il suo stato d’animo e le sue
posizioni radicali?
Non si può identificare Malcolm con l’odio, come
spesso é stato fatto. Egli era il risultato delle sue esperienze e in base a
queste maturava pian piano la sua visione del mondo. E’ molto difficile fissare
una volta per tutte le idee del “Negro più arrabbiato d’America”, come si
autodefiniva, ed é anche difficile
seguirle nella loro inarrestabile trasformazione, nel loro fluire eterogeneo,
in continuo divenire: dalla mentalità del ghetto, cinica e arrogante, con
l’istinto radicato della sopravvivenza, della legge del più forte che
sopravvive agli altri con l’astuzia in questa “giungla d’asfalto”, al messaggio
di odio verso tutti i bianchi, fino alle brillanti posizioni politiche
dell’ultimo anno della sua vita.
Malcolm X é un personaggio estremamente complesso,
controverso e pieno di sfaccettature. Egli era prima di tutto un uomo la cui
enorme sensibilità lo ha reso un fuscello flessibile al vento delle diverse
esperienze. Viveva intensamente e con entusiasmo ogni nuova fase della sua
vita, travolto da ciò che lo circondava, senza saper rimanere indifferente al
bombardamento emotivo cui era sottoposto. Mai al di sopra. Egli toccava il
fondo di ogni situazione, sperimentava l’intima essenza di ogni nuova realtà
che gli si presentava, da cui si lasciava trasportare, coinvolgere e
influenzare. Ne sperimentava sulla pelle ogni bassezza e ogni grandezza, capace
di cambiare in profondità, credendo ciecamente in nuove verità e ogni volta era
radicale e totale, primeggiando sempre, nel bene e nel male. Ma questo continuo
divenire era verso il meglio, una interminabile ascesa verso una coscienza
sempre più matura.
CAPITOLO I
CENNI
STORICI SULLA “QUESTIONE RAZZIALE” NEGLI STATI UNITI D’AMERICA
I.1 Il “problema negro”[5].
Il razzismo come
caratteristica strutturale del sistema.
“Il
problema del XX secolo è il problema della linea di colore.”
W.E.B. DuBois, 1903
“It is incorrect to classify the revolt of
the Negro as simply a racial conflict of Black against white, or as a purely
American problem. Rather, we are today seeing a global rebellion of the
oppressed against the oppressor, the exploited against the exploiter[6]”
Malcolm
X, Speech at Barnard College, February 18, 1965 [Breitman 1992: 174].
La “questione razziale” che si è sviluppata negli Stati
Uniti si può definire come quel complesso di problemi di importanza prioritaria
e cruciale, tuttavia ancora irrisolti, che sono generati dalla presenza
all’interno della popolazione di diversi gruppi etnici e dalle loro relazioni,
spesso conflittuali e antagonistiche, che rappresentano una continua minaccia
alla stabilità e all’equilibrio interno della società.
L’aspetto più controverso della “questione razziale” è il
cosiddetto “problema negro”[7],
definito da Malcolm X “il più grave problema interno degli
Stati Uniti”.
Esso consiste nell’insieme di problemi economici, politici
e sociali propri dell’etnia di origine africana: la precarietà della sua
posizione all’interno del sistema sociale, il mancato riconoscimento dei suoi
diritti umani e civili, la povertà, l’emarginazione, la povertà e tutti gli
squilibri e le conseguenze della svariate forme di discriminazione e di
pregiudizio razziale che sopravvivono vischiosamente a tutti i livelli della
realtà americana.
Tuttavia Malcolm X ripeteva sempre che:
“Non c’è
nessun problema negro, c’è il problema della società americana razzista e
sfruttatrice.”
Le interpretazioni dominanti di questo fenomeno nella
letteratura sociologica e storica, muovevano dall’indiscusso presupposto che
l’America fosse un sistema sociale fondato su alti valori democratici: libertà,
uguaglianza e giustizia per tutti, e che ognuno avesse uguali opportunità di
promozione sociale, inclusi i neri [cfr. Martinelli e Cavalli 1971: 12]. Ciò
non faceva altro che rispecchiare le convinzioni e i temi cari all’American Dream, il vecchio sogno
americano, la credenza popolare secondo cui chiunque, dandosi da fare nella
vita, potrebbe diventare addirittura presidente degli Stati Uniti d’America.
Nei casi migliori, queste autorevoli analisi spiegavano la
persistenza della discriminazione nei confronti dei neri, considerandola
l’effetto diretto del pregiudizio razziale.
Il razzismo veniva posto esclusivamente sul piano dei
valori, inteso come resistenza socio-psicologica all’integrazione da parte
della maggioranza bianca, un fenomeno mentale patologico devastante,
un’aberrazione morale.
Nei casi peggiori, invece, il razzismo era considerato
effetto diretto delle carenze culturali dei neri come retaggio della schiavitù
[cfr. ibidem: 13].
La formulazione più celebre del “problema negro” come “dilemma morale” è quella di Gunnar Myrdal,
lo storico ed economista, “importato” dalla Svezia per cercare di comprendere e
risolvere questa controversia “con la mente libera dai pregiudizi”.
Nella sua opera An
American Dilemma. The Negro Problem and Modern Democracy[8]
(1944), il professore di Economia Sociale di Stoccolma impostò la questione in
modo inverso rispetto ai precedenti lavori, ribaltando le responsabilità e
dichiarando che il “problema negro” era
un “dilemma americano”.
Nonostante questo passo in avanti, Myrdal continuò a
considerarlo frutto della sistematica violazione dei nobili valori contenuti
nella Costituzione e del divario tra gli elevati principi democratici e
cristiani del “credo americano”[9]
e il comportamento effettivo degli individui e dei gruppi sociali che è
prevalentemente discriminante, egoista, inferiorizzante e razzista e dominato
dagli interessi personali.
Se il razzismo è una “malattia morale”, la conseguenza
logica di questo ragionamento è che il “problema negro” avrebbe potuto essere
risolto attraverso l’elaborazione di un programma riformista di rieducazione
morale teso a sconfiggere il pregiudizio presente nelle coscienze individuali
[cfr. ibidem: 15].
Secondo l’analisi scientifica più acuta di quegli studi
che hanno elaborato la tesi della “dualità delle società democratiche”,
l’origine del razzismo e di tutti gli altri problemi dei neri non è da
ricercare nella divaricazione tra valori e comportamenti, ma nella discriminazione
incorporata (built-in) nelle stesse
codificazioni formali della legge [cfr. Ferrarotti 1988: 106-107].
In linea con questa prospettiva, Martinelli e Cavalli
affermano che i principi della Costituzione americana, espressione della
democrazia borghese occidentale, sono del tutto funzionali all’imperativo
espansionistico del capitalismo, e che, a questo scopo, “tutelano e difendono i
diritti generali solo nell’interpretazione di quei gruppi che sono al potere, e
non possono...permettere l’emancipazione dei gruppi subalterni, il cui
sfruttamento è parte integrante del sistema economico sociale che ha formulato
tali principi” [Martinelli e Cavalli 1971: 14].
Esiste un vizio di fondo nella Costituzione se la “Patria
della libertà” potè nascere da un genocidio, dallo sterminio dei nativi
americani, e poi svilupparsi e arricchirsi grazie alla schiavitù dei neri [cfr.
ibidem: 15].
Il nero, che vive nella costante attesa e speranza che la società
americana rispetti i principi costituzionali, non fa che perpetuare la sua
condizione di miseria.
Washington non ha mai realizzato quella democrazia che ha
sempre sbandierato al mondo. E l’“American
Dream” si è manifestato per quello che è: un sogno, anche se a qualcuno è
sembrato più un incubo “Non vedo nessun sogno americano, vedo l’incubo
americano...”. (Malcolm X). Questo sogno è stato abilmente utilizzato dal
potere per illudere e inebriare il popolo, mantenendolo in uno stato onirico di
continua tensione verso un futuro
miglioramento delle condizioni di vita individuali e impedendo così la
formazione di una coscienza di classe unitaria che avrebbe potuto portare al
miglioramento collettivo, anziché del singolo.
Nonostante molti problemi, come la disoccupazione e lo
sfruttamento, accomunino i poveri bianchi e i poveri neri, non c’è stata in
America, tranne che in rarissimi casi, un’unità nella lotta e una coscienza di
classe proletaria necessaria a di difendere gli interessi comuni
indipendentemente dal colore della pelle, che è sembrata invece una barriera insormontabile:
l’operaio bianco, privo di spirito solidaristico, non ha mai sostenuto le
ragioni dell’operaio dequalificato nero.
Come i bianchi, anche i neri sono stati influenzati da
questa grande suggestione nazionale, dal grande mito e la speranza di migliorare
come singoli è stata la causa della debolezza delle organizzazioni sindacali
americane, peraltro controllate dai bianchi e chiuse ai neri, del socialismo,
del comunismo e degli altri movimenti rivoluzionari.
I.2 Le nuove forme di sfruttamento e di razzismo
“Some days I speculate. Other days I just
accumulate.”[10]
Il razzismo non è una “malattia dell’immaginazione umana”,
come lo definì Frederick Douglass[11]
nel 1855, né il frutto di “una crisi morale”, come lo definì Kennedy in un
accorato appello del 1963; esso è al contrario una parte strutturale
ineliminabile del sistema americano.
“Il razzismo nasce e si
sviluppa storicamente negli Stati Uniti per agevolare a livello
socio-psicologico, come scrive O.C. Cox,
lo sfruttamento intensivo delle masse nere nelle piantagioni sudiste;
costituisce...la sovrastruttura ideologica di tale sfruttamento...Come ha detto
Frantz Fanon,...il razzismo è parte
integrante...dello sfruttamento spudorato di un gruppo di uomini da parte di un
altro gruppo che ha raggiunto uno stadio di sviluppo tecnologico più
avanzato...” [Martinelli e Cavalli, 1971: 19].
Nella storia, le ideologie e gli atteggiamenti
discriminatori sono sempre stati originati dall’esigenza di giustificare e
consolidare un dominio.
Anche se assume continuamente nuove forme, da quelle più
manifeste, eclatanti e violente a quelle più sotterranee, sottili e sfumate, ma
non per questo meno pericolose, il razzismo, che è ormai profondamente radicato
nella cultura nazionale, rimane vivo perché non è venuta meno la sua ragion
d’essere: la legittimazione di nuove forme di sfruttamento.
Mutano cioè le forme dello sfruttamento, ma non scompare
lo sfruttamento, e mutano conseguentemente e parallelamente le forme del
pregiudizio razziale ma non scompare il pregiudizio [cfr. ibidem: 20].
L’attuale forma di sfruttamento, la moderna schiavitù dei
neri nella società americana, si manifesta nel processo produttivo: essi sono
alla stregua di un “esercito di riserva” di lavoratori marginali, fonte
inesauribile che fornisce manodopera remunerata a livelli inferiori a quelli
ottenuti nelle contrattazioni dei sindacati [cfr. ibidem: 21].
Esiste una vera e propria struttura dualistica del mercato
del lavoro, con una diversa domanda e offerta di manodopera, che determina
livelli occupazionali e di reddito diversi. I dati statistici sull’occupazione
negli Stati Uniti confermano in modo inequivocabile questa tesi [cfr. ibidem:
22].
Malcolm X e i teorici del Black Panther Party si sono riferiti alla condizione dei neri come
ad un caso di “colonialismo interno”[12]
(teoria accettata anche dal Partito Comunista americano e da storici e
sociologi non marxisti):
“La colonia offre
forza-lavoro a buon mercato, costituisce un ampio mercato per beni di consumo
di qualità scadente, è sottoposta al controllo militare della polizia e al
controllo sociale delle istituzioni...” [Martinelli
e Cavalli 1971: 23].
I.3 Gli
Afro-Americani come avanguardia del
movimento rivoluzionario americano.
I neri non sono sfruttati solo in quanto neri, ma anche e
soprattutto in quanto proletari.
“Siamo neri perché siamo
poveri e siamo poveri perché siamo neri...come funziona meglio per il potere”. (Malcolm
X)
Il conflitto esistente in America non è solo un conflitto
tra bianchi e neri, ovvero tra colonialisti e colonizzati, ma soprattutto un
conflitto di classe tra capitalisti e proletari. Finché non sarà chiara questa
corrispondenza, saremo ciechi di fronte ad un aspetto fondamentale del
problema.
Gli Afro-Americani potrebbero svolgere un ruolo egemone
(nell’accezione di Gramsci[13]
e di Mannheim[14])
all’interno di un processo rivoluzionario che trasformi e migliori la società
americana: essi potranno trascendere i propri immediati interessi di gruppo
etnico e rappresentare quelli di tutti gli oppressi [cfr. Martinelli e Cavalli
1971: 25]. Lo sviluppo del nazionalismo culturale nero[15]
è un fatto positivo, purché ciò non significhi l’isolamento culturale e non
precluda ai neri l’alleanza con i radicali bianchi, con le altre classi
subalterne della società e con i gruppi oppressi in America e nel mondo [cfr.
ibidem: 27].
A causa della centralità della presenza dei neri nel
sistema di casta[16], è chiaro
che il “problema negro” è insolubile all’interno del sistema esistente, come
aveva intuito Tocqueville un secolo e mezzo fa. E poiché la loro emancipazione
richiederebbe una trasformazione radicale dell’intera società, i neri costituiscono l’avanguardia
potenziale del movimento rivoluzionario americano [cfr. ibidem: 27/29].
I.4 La riscoperta del marxismo
Oggi alcuni intellettuali americani stanno riscoprendo
Marx. Cornell West, il più popolare intellettuale nero degli Stati Uniti,
militante politico e docente di studi afro-americani all’Università di Harvard,
autore del libro La razza conta, è convinto che il marxismo sia un metodo
critico indispensabile per analizzare le contraddizioni del modello americano e
per interpretare il razzismo come maschera di una lotta di classe. E alla
obiezione che Marx non si occupò del problema della “razza”, Cornell risponde:
“...I suoi concetti
funzionano lo stesso. La maggior parte dei neri è costituita da lavoratori
salariati...Se la società arretra sono loro i primi ad arretrare, non solo
perché sono neri, ma proprio a causa del posto che occupano nella scala
sociale. E’ una realtà che spesso non viene colta perché la si esamina solo
nell’ottica razziale” [“L’Espresso” 16 Gennaio 1997].
Come ha scritto West, “se si vuole discutere seriamente di
‘razza’ negli Stati Uniti, bisogna cominciare non dai problemi della gente
nera, ma dalle carenze della società statunitense...” [Cartosio 1995: 13].
Tra le diverse ipotesi formulate per spiegare le cause del
razzismo, gli studiosi di orientamento marxista prendono in considerazione i
fattori economici e ribaltano il rapporto di causa-effetto,
“...sottolineano
l’esistenza di forme di sfruttamento economico fondate sulle differenziazioni
etniche. In qualsiasi sistema economico la classe dominante deve avere a
disposizione forza-lavoro a buon mercato e al tempo stesso mezzi idonei ad
impedire a questi lavoratori di coalizzarsi contro di essa. [Cox 1959]. Dal
punto di vista della classe dominante, pertanto, il fatto di mantenere in una
posizione inferiore un altro gruppo etnico ha molti vantaggi...Intorno a queste
differenze si può costruire un’ideologia della “supremazia naturale”. Mettendo
un gruppo etnico contro l’altro, una classe dominante può creare e mantenere
divisioni tra persone e gruppi che, se uniti, potrebbero costituire una
costante minaccia. Questi conflitti inoltre distolgono l’attenzione dal controllo
che la classe dominante mantiene sull’economia” [Smelser
1987: 304-305].
Oggi anche i non marxisti sostengono che lo
sfruttamento economico deve essere considerato come fattore importante nello
strutturarsi di disuguaglianze connesse alle differenze etniche.
I.5 Il materialismo del razzismo. Il rapporto
dialettico tra struttura e sovrastruttura in Marx ed Engels.
Nell’opera intitolata L’ideologia tedesca
del 1846, il ragionamento di Marx ed Engels muove dalla definizione della
concezione materialistica della storia, secondo cui la base del divenire
storico è il divenire economico.
In questa prospettiva,
“non
(si) spiega la prassi partendo dall’idea, ma (si) spiega le formazioni di idee
partendo dalla prassi materiale” [Marx ed Engels 1967: 30].
“La
produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è...
direttamente intrecciata all’attività materiale e alle relazioni materiali
degli uomini, ...è emanazione diretta del loro comportamento materiale...”
[ibidem: 13].
Marx ed Engels, in questo brano, definiscono
chiaramente la dinamica del rapporto tra la struttura economica e la
sovrastruttura ideologica e la direzione del suo rapporto di causa-effetto:
l’insieme dei rapporti di produzione, corrispondenti ad un determinato grado di
sviluppo delle forze produttive materiali, costituisce la struttura economica
della società; questa determina la sovrastruttura, che include la sfera
giuridica, politica e morale, e tutte le espressioni e i simboli
culturali, alla quale corrispondono
forme determinate di coscienza sociale.
Gli interessi materiali sono il fulcro del
ragionamento marxiano, il perno attorno al quale si muove l’intero meccanismo
della sopraffazione umana e che lo spiega: la volontà di certi uomini di
mantenere la loro posizione privilegiata è all’origine della produzione di idee
e principi che giustificano e mantengono il loro dominio, dimostrando che esso
è naturale, necessario, universale, legittimo e persino voluto da Dio.
I dominatori producono e
distribuiscono la Weltanschaaung del
loro tempo, “le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee
dominanti;...(cioè) la classe che dispone dei mezzi della produzione materiale
dispone con ciò...dei mezzi della produzione intellettuale (e)...ad essa...sono
assoggettate le idee di coloro ai quali mancano...Le idee dominanti...sono...le
idee del suo dominio” [ibidem: 35 e seg.].
Ma se mutasse la struttura economica esistente, si
verificherebbe parallelamente la trasformazione della sovrastruttura
ideologica.
Secondo Marx ed Engels la classe rivoluzionaria
svolge il ruolo storico di trasformare radicalmente il sistema economico e di
smascherare le idee che esso porta con sé.
Nel primo libro de Il Capitale, pubblicato nel 1867,
Marx analizza le leggi del modo di produzione capitalistico e i rapporti
sociali che ne derivano. Nelle società capitalistica egli distingue
essenzialmente due classi: la borghesia, proprietaria dei mezzi di produzione e
il proletariato, che non possiede altro che la propria forza-lavoro. Il
proletario vende al capitalista l’unica sua risorsa, la forza-lavoro, il quale lo paga attraverso il
“salario di sussistenza”, non proporzionato alla quantità della forza-lavoro
impiegata. Marx ha elaborato la “teoria del plus-valore”: il lavoro non
retribuito dell’operaio, il plus-lavoro, cioè il suo sfruttamento, dà luogo ad
un profitto, il plus-valore (che si determina dalla differenza tra il valore
complessivo delle merci prodotte dall’operaio e il valore del salario) e
all’accumulazione del capitale.[17]
Attraverso la ripetizione all’infinito di questo
meccanismo si verifica il rafforzamento progressivo del capitalista, una
concentrazione sempre maggiore del capitale nelle mani di pochi e l’aumento
della proletarizzazione e della pauperizzazione della classe operaia.
Ciò, secondo Marx, porterà le due classi ad uno
scontro finale, inevitabile, alla rivoluzione del sistema capitalistico e
all’avvento della società comunista, e questo è l’aspetto dogmatico della sua
teoria.
Dall’analisi marxiana del capitalismo si ricava che
esso si basa sul sistematico sfruttamento della classe lavoratrice.
I.6 Il
caso americano e la specificità della condizione
sociale dei neri.
Negli Stati Uniti d’America, alla divisione della
società in base alla classe economica, si aggiunge un’ulteriore suddivisione
della classe in sottoclassi secondo linee razziali; il colore della pelle viene
utilizzato come visibile linea di demarcazione e di confine invalicabile tra
una sottoclasse e l’altra.
In questo sistema di stratificazione, le
sottoclassi, caratterizzate all’appartenenza etnica, stanno fra loro in un
rapporto antagonistico, in cui prevalgono discriminazione, odio e pregiudizi.
Il razzismo, l’ideologia secondo cui un essere
umano è inferiore ad un altro essere umano per il colore della pelle, è ciò di
cui si serve il potere per ostacolare la formazione di una coscienza di classe
che, unificando la massa proletaria, la renderebbe infinitamente più forte e
più pericolosa e rappresenterebbe una minaccia all’ordine esistente e alla sua
struttura di potere.
Poiché, infatti, come si dice, “l’unione fa la
forza”, l’antica strategia “Divide et
Impera” funziona proprio concedendo privilegi solo ad alcuni gruppi, i
quali salgono un gradino più su rispetto ai neri, unico gruppo che rimane
ancorato alla base della stratificazione sociale. In questo modo crea ostilità
tra i gruppi, li divide, ne diminuisce la forza, li controlla e li domina più
facilmente.
La fonte della forza-lavoro da sfruttare che, come
abbiamo visto, è necessaria al funzionamento del sistema capitalistico,
costituita nella società industriale ottocentesca analizzata da Marx dal
proletariato, è costituita in America dalla “razza” nera, ultimo gradino del
sistema di casta. Le differenze etniche, lingustiche, religiose e culturali
sono state usate come elementi di differenziazione su cui basare l’ideologia
dell’inferiorità.
E’ importante riconoscere la specificità della
condizione sociale degli Afro-Americani rispetto a quella delle altre minoranze
etniche o del proletariato e sottoproletariato bianco: i neri, infatti, rappresentano il gruppo che risente in modo
più intenso e diretto dello sfruttamento capitalistico. La loro condizione subordinata ha infatti
storicamente consentito la mobilità sociale delle altre minoranze etniche.
I.7 Storia della legislazione sui diritti civili
dei neri
“Quando
penso che Dio è giusto, tremo per il mio paese.”
George Jefferson, 1781
1857 La famosa sentenza di Dred Scott del 1857 illustra
perfettamente lo status del “negro” durante la schiavitù. Con questa sentenza
la Corte Suprema affermava in sostabza che il “negro” non era un cittadino
degli Stati Uniti, ma era semplicemente un oggetto di proprietà, soggetto agli
ordini del suo proprietario.
1865 Nel 1865, con il XIII emendamento alla Costituzione,
“Il Proclama di Emancipazione”,
Abraham Lincoln abolì la schiavitù dei neri.
Articolo XIII (18 Dicembre 1865)
Sezione I. Ne schiavitù
ne servitù involontaria potranno sussistere negli Stati Uniti...
1865/1877
Tra il 1865 e il 1877, periodo chiamato della Ricostruzione, si verificò uno storico esperimento di democrazia
interraziale che aprì la strada al XIV
e XV emendamento alla Costituzione che sancivano l’uguaglianza dei diritti
civili dei neri:
Articolo XIV (28 Luglio 1868)
Sezione I. Tutte le
persone nate...negli Stati Uniti...sono cittadini degli Stati Uniti...nessuno
Stato priverà alcuna persona della vita, della libertà, o della proprietà,...ne
rifiuterà a chicchessia nei limiti della sua giurisdizione l’eguale protezione
delle leggi.
Articolo XV (30 Marzo 1870)
Sezione I. Il diritto di
voto spettante ai cittadini degli Stati Uniti non potrà essere negato ne
limitato dagli Stati Uniti, ne da alcuno Stato, per ragioni di razza o di
precedente condizione servile [Commager 1980: 760-761].
Ma ancora cento anni dopo il riconoscimento, a livello
puramente formale, dell’uguaglianza dei neri sancito dal “Proclama di
Emancipazione”, sia nel Sud che nel Nord degli Stati Uniti d’America essi erano
di fatto ancora privati dei loro diritti fondamentali, segregati, discriminati
e oggetto di violenza (nel profondo Sud i bianchi che uccidevano un “negro”
godevano ancora dell’impunità).
1877 In
quegli anni furono promulgate leggi segregazioniste comunemente chiamate “Jim Crow”. In America si costituì un
sistema di Apartheid legalizzato.
1896 La
sentenza della Corte Suprema Plessy
contro Ferguson, stabilì il principio “separate but equal”, “separati ma
uguali” come ispiratore della legge del paese e legalizzò definitivamente
questa pratica di Apartheid che divenne sempre più scellerata. Con questa
sentenza la segregazione riceveva sanzione legale e morale. Il risultato finale
fu che la “separazione” tra bianchi e “colore” veniva rigidamente applicata,
mentre non veniva fatto il minimo sforzo per applicare anche il principio
dell’“uguaglianza”.
Anni ‘20
La comunità nera d’America aveva, tuttavia, la sua personale eredità di
resistenza contro la supremazia bianca. Il Rinascimento
di Harlem durante gli anni Venti era il segno del successo della sua
opposizione culturale.
1950/1954
Nella “Patria della (cosiddetta) democrazia” gli anni del maccartismo coincisero con una forte ondata di conservatorismo
ideologico, paura, ostilità e diffidenza.
Le ripercussioni della Guerra Fredda si manifestarono sia
sulla politica interna, che divenne accentuatamente reazionaria e
conservatrice, sia sul clima ideologico degli Stati Uniti: si sviluppò una
violenta ondata di anticomunismo che culminò in una vera e propria “caccia alle
streghe”, di cui fu a capo il senatore McCarthy
(appoggiato da Richard Nixon).
Si voleva impedire la contaminazione dei caratteri etnici
della popolazione yankee[18]
e la diffusione di ideologie sovversive di origine europea. a questo scopo,
venivano demonizzati “negri”, proletari, comunisti e socialisti. In questo
clima di intolleranza, ogni forma di attività politica diretta era passibile di
denuncia davanti all’House Un-American Activities Commitee
(HUAC), la commissione istituita per ostacolare e soffocare le attività
anti-americane.
Si diffusero
pratiche discriminatorie istituzionalizzate nei confronti dei Colored e un terrorismo bianco; crimini,
violenze e linciaggi venivano compiuti impunemente dai membri della Legione
Nera o del Ku Klux Klan[19],
espressione del razzismo più isterico, che aveva raggiunto negli stati del Sud
le dimensioni di un’organizzazione di massa, all’interno della quale spesso i
membri incappucciati erano gli stessi governatori degli Stati o gli sceriffi
delle contee.
I bianchi di origine wasp, cioè i bianchi anglosassoni protestanti, si erano rinchiusi
in una difesa ottusa e fanatica dei valori della civiltà bianca e protestante.
1954 Il 17 Maggio 1954 la Corte Suprema decretò l’incostituzionalità della
segregazione razziale nelle scuole pubbliche americane. La sentenza della Corte
Suprema nella causa Brown contro il
Provveditorato agli studi di Topeka, che intendeva abbattere le forme più
gravi di discriminazione, fu una vera e propria pietra miliare e mise in crisi
il principio “Separate but equal” [cfr. Commager 1980: 625/629]. Con le
brillanti strategie guiridiche di alcuni avvocati neri, il risultato migliore
della NAACP fu questa sentenza della Corte Suprema. La diplomazia, la quantità
di dati sociologici raccolti e la raffinata indagine intellettuale con le quali
si presentava la NUL contribuirono a smantellare le disinvolte generalizzazioni
sui neri.
1957 Il Civil Rights
Act, la Legge sui Diritti Civili,
fu, come previsto, inadeguata e insufficiente.
“Il movimento per i
diritti civili coincide con la politica riformista kennediana per la
razionalizzazione del sistema capitalistico all’interno, premessa
indispensabile per una nuova e più raffinata politica imperialista all’esterno”
[Martinelli e Cavalli 1971: 33].
Gli anni Sessanta furono l’epoca dell’illusione
progressista: gli studenti, i proletari e le minoranze etniche intrapresero una
lotta all’interno delle istituzioni esistenti per il riconoscimento dei diritti
sanciti dalla Costituzione e il miglioramento della società. Questa protesta
entrò in crisi per le contraddizioni della politica kennediana, che non era mai
stata pacifista e progressista, ma era essenzialmente aggressiva e
conservatrice [cfr. ibidem 1971: 33].
Secondo l’opinione di Martinelli e Cavalli[20],
Kennedy voleva eliminare le forme più eclatanti della discriminazione e dello
sfruttamento solo perché erano potenziali fonti di conflitto interno, ma il suo
scopo era di creare quella coesione nazionale necessaria per condurre una
politica estera imperialistica [cfr. ibidem: 34].
Durante l’amministrazione Kennedy, nonostante le promesse
della campagna elettorale, non fu promulgata alcuna legge per i diritti civili
dei neri e continuarono brutalità della polizia, ingiustizia e discriminazione
(da tutto il paese gli spedirono penne stilografiche perché non si decideva a
firmare questa legge).
1964 Durante l’amministrazione Johnson, il
Senato approvò il Civil Rights Act, la Legge sui Diritti Civili (73 voti contro
27), che fu estesa e approvata nel 1967. Essa ampliava le misure protettive e i
poteri federali per combattere la discriminazione razziale. Aboliva ogni tipo
di discriminazione nei luoghi pubblici, nell’impiego e nei sindacati dei
lavoratori, iniziava la desegregazione nelle scuole e metteva fuori legge il
diffuso sabotaggio del XV emendamento della Costituzione, il diritto al voto.
In questa occasione Malcolm X dichiarò che i neri
sarebbero stati fuori di testa se si fossero mostrati felici per l’approvazione
del disegno di legge del 1964, perché questo non attaccava le vere radici del
razzismo, ma avrebbe solo permesso a certi neri di stare seduti accanto ai
bianchi in una sala di barbiere; nonostante questi “progressi”, lo sfruttamento
delle masse nere, il vero problema che andava risolto, avrebbe continuato a funzionare.
Malcolm X rese noto che contemporaneamente a questo
disegno di legge era entrata in vigore una legge conosciuta come “legge delle
irruzioni domiciliari senza mandato” o “legge delle perquisizioni volanti”, che
era una legge “anti-negro”.
“Se non
possono far rispettare leggi enunciate dalla Corte Suprema, che è il massimo
tribunale del paese, pensate che possano far rispettare delle nuove leggi nel
Mississipi, nell’Alabama e in Georgia?...Perché hanno ideato questo progetto di
legge?...Non è altro che un trucco del XX secolo...(il motivo è che) il mondo
sta osservando...” [Valvola Gomma Woman 1993: 82/86].
Secondo Giammanco, quella legislazione era un premio alla
dipendenza di cui avrebbe beneficiato solo la sparuta middle class: gli “zii
Tom” avrebbero ottenuto più tokenism,
cioè più privilegi individuali, ma le masse dei ghetti sarebbero state sempre
più isolate ed emarginate [cfr. Giammanco 1994: 34].
Da quel momento la Corte Suprema non ha fatto altro che
introdurre delle sentenze marginali, che praticamente hanno smantellato pezzo
per pezzo i principi giuridici della legislazione sui diritti civili, primo fra
tutti il principio dell’“Affirmative Action”[21],
il “sistema delle quote”. Esso
distribuisce posti di lavoro in baso al criterio della “quota”, cioè
proporzionalmente alla percentuale numerica delle minoranze etniche rispetto
alla popolazione americana totale.
Questo sistema ha permesso la mobilitazione e la
promozione sociale dei neri, i quali così hanno cominciato ad accedere alla
classe media.
Il reaganismo degli anni Ottanta ha interpretato questo
sistema come una fonte di privilegio e un’ingiustizia, perché le assunzioni
avvenivano in base ad una quota fissa, anziché secondo il criterio del merito,
delle qualifiche personali e a prescindere dal valore degli individui. E le
politiche sociali del periodo Regan-Bush ha portato all’impoverimento
definitivo delle minoranze etniche[22].
CAPITOLO II
IL MOVIMENTO NERO NEGLI STATI UNITI
D’AMERICA TRA INTEGRAZIONISMO
E NAZIONALISMO
II.1 La doppia anima del movimento
Nella Storia della resistenza
del movimento nero esistono due tradizioni politiche e culturali,
l’integrazionismo e il nazionalismo, che si sono espresse con obiettivi e mezzi
diversi.
Mentre l’integrazionismo, in tutte le sue forme, ha sempre portato avanti la
richiesta di inclusione nella società americana e la rivendicazione dei diritti
civili dei neri, la tradizione del nazionalismo
è più eterogenea al suo interno. Nata dall’esperienza delle prime Chiese Nere
che si separarono da quelle bianche che applicavano la segregazione[23],
la filosofia del nazionalismo si basava sulla convinzione che i neri non
sarebbero mai stati integrati, alla pari con i bianchi, nella società
americana.
·
Una delle prime forme di nazionalismo nero è stato l’ esplicito rifiuto
dell’America e la ricerca dell’identificazione con qualche altra terra, che si
è manifestata in vari progetti di emigrazione: si programmava l’abbandono
definitivo di quest’America inospitale per stabilirsi in America Latina, ad
Haiti, in Canada oppure in Africa (Il
“Back-to-Africa Movement”).
·
Il nazionalismo a carattere religioso, che emergeva da un’esperienza urbana di
privazione e di oppressione, esprimeva la ricerca di un’identità religiosa
alternativa e più adatta alle istanze della comunità afro-americana.
·
Il “Panafricanismo”, promosso soprattutto dal grande storico marxista W.E.B.
DuBois, cercava di legare politicamente i neri d’America con i loro fratelli in
Africa.
·
La lotta armata e la violenza rivoluzionaria organizzata, anche se sia l’ultimo
Malcolm X che il Black Panther Party
criticavano il concetto di nazionalismo ed erano aperti a stringere alleanze
con gli altri elementi più radicali della società.
·
Lo sviluppo separato e autosufficiente all’interno degli Stati Uniti è un’ulteriore
forma di nazionalismo che è ripresa durante gli anni ‘80, in seguito al
reaganismo e alle tensioni razziali generate dalla sua politica economica [cfr.
Cartosio, Gambino, Naso e altri 1994: 19/25].
Nonostante le differenze negli approcci e nei metodi,
integrazionisti e nazionalisti rappresentano gli estremi di uno stesso continuum, sono la doppia anima del
movimento nero, un processo dialettico in continuo divenire e in continuo
sviluppo, che nella sua evoluzione, dalle lotte antisegregazioniste alla
politica del Black Power, giunge a
sintesi e a soluzioni sempre più mature per il raggiungimento dello stesso
obiettivo finale: la liberazione del popolo nero e la giustizia sostanziale.
La dimostrazione della complementarietà tra queste
posizioni, solo in apparenza antitetiche e contrastanti, è il passaggio dei
protagonisti delle protesta nera da posizioni moderate e riformiste a posizioni
più radicali e rivoluzionarie e viceversa: la radicalizzazione e lo
“spostamento verso Malcolm X” dell’ultimo Martin Luther King e l’apertura di
Malcolm, gli episodi di autodifesa organizzata all’interno della NAACP, la
fusione tra il non-violento SNCC e il rivoluzionario Black Panther Party, ecc.
II.2 La fase pre-politica: la Chiesa Nera e la
teologia nera della liberazione. “Cristo è nero!”
I culti dei neri furono la premessa per la definizione ideologica dei movimenti
nazionalisti neri e portarono gli Afro-Americani ad un livello pre-politico, ma
denso di grandi potenzialità che rese possibile per la prima volta negli anni
Sessanta organizzare la protesta nera [cfr.
Giammanco 1993: 89 e seg].
La religione, infatti, può
svolgere diverse funzioni sociali: può essere sorgente di significato per una
vita che è di per sé piena di crisi e di incertezze (Malinowski), può svolgere
una funzione di integrazione e unificazione all’interno di una comunità (Durkheim), può essere strumento di dominio e di
controllo sociale (“Religio instrumentum
regni” - Machiavelli) e svolgere una funzione di mantenimento e
conservazione di una determinata struttura di potere, offrendo ai ceti
inferiori la speranza di una vita migliore in un altro mondo (Marx); ma la
religione può anche avere un ruolo rivoluzionario ed essere fonte di
liberazione, stimolando la protesta nei confronti dell’oppressione e
all’alienazione dell’essere umano (K.
Thompson).
Le Chiese
nere, che a partire dal 1700 erano sorte sia nelle aree della schiavitù che
tra i neri liberi del Nord, risposero al bisogno di creare una strategia di
adattamento e di sopravvivenza all’interno di un sistema disumano, alienante e
di sfruttamento globale. Esse rappresentarono il primo nucleo di autonomia dei
neri, l’unica forma di aggregazione e di comunità concessa, l’unica istituzione
in cui fosse possibile godere di un certo margine di potere reale piuttosto che
sostitutivo e compensatorio (la tradizionale “torta in cielo”, “the pie-in-the-sky”).
L’elemento religioso è stato di fondamentale
importanza nel movimento ed era presente come espressione della coscienza di
oppressione.
I culturalisti fanno fatica a distinguere tra i
vari tipi di culti, di religioni e di movimenti nazionalisti, ma lo scopo era
sempre lo stesso, “l’intenzione permanente di creare un’unità necessaria per
l’affermazione dell’ethos nero”.
La religione deve essere considerata in questi casi
non tanto per i suoi contenuti specifici, ma per la sua funzione di
liberazione, di riappropriazione dell’identità spirituale africana, come la
fonte dell’utopia e della speranza di un futuro miglioramento delle proprie
condizioni [cfr. ibidem 1993: 107/129].
II.3 Lo sviluppo del movimento nero
dal Civil Rights
Movement al Black Power.[24]
Il movimento nero negli Stati Uniti d’America ebbe
inizio in modo moderato e riformista. Con il celebre Montgomery Bus Boycott, iniziato nel 1955 da Rosa Park, la donna
nera che fu arrestata perché si era rifiutata di cedere il suo posto sull’autobus a un uomo bianco, ebbe
inizio il “Civil Rights Movement”. Fu una protesta di massa in cui 42.000
neri boicottarono per più di un anno i trasporti pubblici della città di
Montgomery, Alabama.
Secondo Martinelli, uno dei meriti maggiori del Civil
Rights Movement,
“è
stato quello di permettere a migliaia di riformisti entusiasti di sperimentare
di persona l’impossibilità di ottenere la trasformazione sociale che essi
chiedevano all’interno del quadro istituzionale esistente...” [Martinelli e
Cavalli 1971: 34].
“L’altro grande merito...è stato quello di avere
sviluppato nuove e più avanzate forme di organizzazione politica delle masse
nere...” [ivi]
per ottenere l’uguaglianza giuridica, garantita
dalla Costituzione e continuamente violata: questi sforzi miravano soprattutto
alla registrazione per il voto negli stati del Sud, alla lotta contro la
discriminazione sul luogo di lavoro e nelle scuole [cfr. ibidem: 35].
“Gli scarsi risultati ottenuti con la lotta nel
Sud...rispetto ai sacrifici sostenuti e alle energie impiegate..., il
peggioramento della condizione dei neri al Nord...e la generale delusione (per
la)...politica kennediana..., provocano una svolta fondamentale nelle
organizzazioni più combattive del movimento nero...” [Martinelli e Cavalli
1971: 35];
lo SNCC e il CORE abbandonarono la non-violenza
come strumento di lotta ed elaborano il concetto di Black Power.
La figura politica di maggior rilievo di questo
nuovo indirizzo è quella di Malcolm X che sviluppò una strategia politica
rivoluzionaria.
Con la teorizzazione di forme di lotta politica
spontanee delle masse nere e nelle rivolte nei ghetti, si verificò un vero e
proprio salto qualitativo.
Lo scopo finale non era più l’integrazione nel
sistema capitalistico americano, ma la lotta contro l’imperialismo, che
all’interno degli Stati Uniti opprimeva la minoranza nera e all’estero
opprimeva i popoli africani, asiatici, e latino-americani.
Il nuovo strumento di lotta era la resistenza
armata e gli alleati erano le masse di tutti i popoli oppressi, con cui si
voleva sviluppare una base culturale autonoma da opporre alla cultura egemone
americana [cfr. ivi].
Parte I - Gli Integrazionisti[25]
“Sapete come i razzisti bianchi chiamano un nero laureato?...Allora io
gli buttai in faccia la parola, a voce alta:
“Nigger !”
[Malcolm X 1992: 336].
II.4 Martin Luther King e la “Southern Christian Leadership Conference”
(SCLC).
“Giustizia
senza violenza”
“Ho cercato la mia anima,
ma l’anima non l’ho vista;
ho cercato il mio Dio,
ma mi è sfuggito;
ho cercato mio fratello,
e ho trovato tutti e tre”
studente afro-americano, 1961
[King 1993:80].
II.4.1 La vita
Particolarmente incisiva sulla pubblica opinione di
tutto il mondo è stata l’azione politica del pastore battista Rev. Martin
Luther King jr. (1929-1968), figlio a sua volta di un pastore della Chiesa
battista della Georgia.
Il dottor King credeva nell’“American Dream”, incorporato nella Costituzione degli Stati Uniti,
nella sua vocazione democratica e nella tradizione religiosa protestante.
Laureato in Filosofia e Teologia, convinto e
coerente assertore della non violenza all’interno del movimento nero, Martin
Luther King tentò di coniugare, nel pensiero e nella pratica, lo spirito
cristiano e il metodo gandhiano, con lo scopo di vincere pacificamente la
battaglia per i diritti civili, negati di fatto negli Stati Uniti d’America.
Nel 1957 fu
tra i fondatori e poi presidente della “Southern Christian Leadership Conference”
(SCLC), l’organo di coordinamento delle Chiese afro-americane del Sud impegnate
nella desegregazione. Insieme agli altri membri organizzò le marce
dell’“esercito della non violenza”, a
causa delle quali fu più volte arrestato e ferito.
A partire dal 1960 strinse un’alleanza tattica con
il presidente democratico John F. Kennedy.
Nel 1963
animò il contingente sudista della “Marcia su Washington”, organizzata per
sollecitare l’amministrazione Kennedy a far approvare la legge per i diritti
civili.
Nel 1964 ricevette il Premio Nobel per la pace.
Nel 1967 prese le distanze dalla politica estera statunitense e assunse una posizione contraria all’intervento nel Vietnam, che considerava come “la morte spirituale della società americana”.
Fino alla sua ultima battaglia accanto ai
netturbini di Memphis, “The Poor People
Campaign”, egli rimase sempre integrazionista e assertore della
non-violenza, ma, riaffermata questa linea di coerenza, la sua analisi della
società statunitense e la sua strategia di cambiamento subirono una profonda
trasformazione finale: l’opposizione alla guerra in Vietnam, la scoperta della
povertà bianca, la coscienza della necessità del confronto con le frange
radicali del movimento nero, la disillusione nei confronti della tradizione di
libertà e di progresso in cui credeva; egli si convinse nell’ultimo periodo
della sua vita, prima di essere ucciso a Memphis (Tennesee) il 4 Aprile 1968 da
un attentatore bianco razzista, che la società americana andasse ristrutturata
e aderì ai princìpi del socialismo democratico.
In questa nuova visione critica e
anticapitalistica, King comprese che:
“...Il problema del razzismo, il problema dello
sfruttamento economico e il problema della guerra (in Vietnam) sono
strettamente collegati...” [King 1993].
II.4.2 Il metodo: la resistenza non-violenta
“We shall
overcome”
Secondo Martin Luther King, la filosofia del “Porgi
l’altra guancia” e dell’“Ama i tuoi nemici” è valida solo quando gli individui
sono in conflitto con altri individui; quando sono in conflitto gruppi etnici e
nazioni è necessario un approccio più realistico. Studiando a fondo la vita gli
insegnamenti del Mahatma Gandhi[26]
e i successi ottenuti con le campagne di resistenza non violenta al dominio
britannico in India, King si convinse che
la dottrina cristiana dell’amore[27]
messo in atto attraverso il metodo gandhiano, avrebbe rappresentato una delle
armi più potenti a disposizione degli oppressi nella loro lotta per la libertà.
Profondamente colpito dal metodo di Gandhi, Martin
adottò la filosofia e la pratica della “resistenza
non violenta”, che considerava il mezzo più morale per proseguire con dignità
la lotta per raggiungere l’autodeterminazione.
L’“azione diretta non violenta” non era affatto un
metodo passivo, inerte, per gente mortificata e compiacente; era un metodo di
non aggressione fisica, ma di forte aggressione spirituale, attraverso cui non
si cerca di sconfiggere e umiliare l’avversario, ma di conquistarne l’amicizia
e la comprensione, perché, conseguenza della violenza è l’astio, conseguenza
della non violenza è la riconciliazione.
Non si deve confondere la resistenza passiva con
l’assenza di resistenza: nella prima, infatti, si organizza un’azione
collettiva per raddrizzare un torto, prendendo su di se la sofferenza, sofferenza
creativa, immeritata e redentrice.
Per Martin Luther King, il “Gandhi nero”, non si
sarebbe dovuto mai rinunciare a procedere, ma andare avanti con autocontrollo e
razionalità, saggia ragionevolezza e ferma decisione, senza “mai dargli un
attimo di respiro” [cfr. King 1993: 58-59].
II.4.3 Questione dell’autodifesa e della violenza[28]
“Dovremo per
sempre condurre la nostra lotta dal piano alto della dignità e della
disciplina. Non dovremo permettere che la nostra protesta creativa degeneri in
violenza fisica” [King 1993: 101].
Martin
Luther King insegnava che:
“...Esistono tre modi di affrontare la violenza.
Uno consiste nella pura non violenza...che richiede disciplina e coraggio
straordinari.
Il secondo è la violenza esercitata come
autodifesa, che tutte le società...accettano come morale e legale. Il principio
dell’autodifesa che fa uso anche di armi e di spargimento di sangue non é mai
stato condannato, neanche da Gandhi, che lo approvò per coloro che non sono in
grado di esercitare la non violenza.
Il terzo è considerare la violenza come mezzo per
progredire, che si organizza militarmente in modo deliberato e consapevole...Ci
sono pericoli incalcolabili in questo approccio...(I neri che sceglieranno
questa strategia saranno sempre) una minoranza di fronte ad un avversario molto
più numeroso, che non sarà possibile sbaragliare con questa modalità di
lotta...” [ibidem: 51].
“Non c’é bisogno di dire che la gente proteggerà la sua
casa. Questo é un diritto garantito dalla Costituzione...” [ibidem 124].
“La violenza, anche motivata dall’autodifesa, crea più
problemi di quanti non ne risolva...[ibidem…125] E’ una soluzione che non porta
a dei risultati perché ci si trova in una situazione impari. E’
un’“autodistruzione”, un “suicidio” [cfr. ibidem: 170].
“Da nessuna parte le sommosse hanno ottenuto un
miglioramento concreto come quello delle dimostrazioni di protesta (non
violente) organizzate. Questo perché...Nessuna rivoluzione interna è mai
riuscita ad abbattere un governo con la violenza, a meno che il governo stesso
non avesse già perso la fedeltà e il controllo delle sue forze armate...(Ma)
questo non accadrà negli Stati Uniti...la struttura del potere può far appello
alla polizia locale, alla polizia statale, alla Guardia Nazionale e...all’esercito...Una
rivoluzione violenta da parte dei neri...non troverebbe né sostegno né simpatia
nella popolazione bianca e assai poca nella maggioranza dei neri stessi”
[ibidem: 170-171].
Al contrario di quanto sosteneva Malcolm X riguardo
alla necessità che i neri americani si unissero in lotta con gli altri due
terzi dell’umanità di colore oppressa dai bianchi, perché, se si fossero
considerati parte di questa maggioranza, avrebbero rappresentato una forza con
grandi potenzialità, Mr. King affermava nel 1966:
“Non c’è paese di colore...che mostri in questo
momento... la potenzialità di porsi alla guida di una rivoluzione della gente
di colore a livello internazionale...(Questi paesi) stanno combattendo una loro
personale lotta per la sopravvivenza contro la povertà, l’analfabetismo
e...(il) neocolonialismo e, non sono in grado di offrire una speranza (agli
altri)...
La speranza della gente di colore del pianeta
potrebbe benissimo poggiare sui neri d’America e sulla loro capacità di
riformare dall’interno le strutture dell’imperialismo razzista e...condurre la
tecnologia e la ricchezza dell’Occidente all’obiettivo di liberare il mondo dal
bisogno” [ibidem: 123].
Le alternative alla violenza contemplate dal metodo
di Martin Luther King consistevano in varie forme di disubbidienza civile:
boicottaggi di massa, proteste e scioperi, sit-in, pray-in, jail-in, love-in, cortei,
marce, raduni di massa, pellegrinaggi di preghiera e il rifiuto di pagare multe
e cauzioni per gli arresti ingiusti,
“C’è più forza nella grande disarmata e risoluta
massa umana organizzata in una marcia di quanta ce ne sia nelle armi in mano ad
una manciata di uomini disperati. Questo tipo di lotta si dimostra più
definitivo e rovinoso per il nemico che non gli atti di violenza organizzata e
tanto meno disorganizzata” [ibidem: 52]..
Il boicottaggio, cioè il rifiuto di collaborare sul
piano economico con le istituzioni che perpetuano il male, aveva lo scopo di
conseguire una più giusta distribuzione dei posti di lavoro nei confronti dei
lavoratori e consumatori neri ed era il metodo più efficace, la non violenza al
suo massimo di efficacia, perché riusciva ad incidere nei margini di profitto
delle aziende americane.
II.4.4 L’obiettivo politico:
integrazione
e riconoscimento dei diritti civili
Gli obiettivi fondamentali della crociata di questo
storico leader dei neri moderati era il raggiungimento dei diritti civili -il
più importante dei quali era il diritto di voto, per la comunità nera e
riportare l’intera nazione a quelle fonti della democrazia che i Padri
Fondatori avevano inserito nella Dichiarazione di Indipendenza e nella
Costituzione .
“La negazione di questo sacro diritto costituisce un
tragico tradimento dei più alti mandati delle nostre tradizioni democratiche ed
è il capovolgimento della democrazia” [Naso 1993: 50].
Nel 1963, in occasione della Marcia su Washington,
Martin Luther King pronunciò il suo storico e più famoso discorso “I
have a dream”[29];
fu un’implorazione di giustizia e libertà:
“Questo è il momento di realizzare le promesse della
democrazia...Io ho sempre davanti a me un sogno. E’ un sogno profondamente
radicato nel sogno americano, che un giorno questa nazione si leverà in piedi e
vivrà fino in fondo il senso delle sue convinzioni” [ibidem: 102].
Profondamente convinto che la soluzione al
cosiddetto “problema negro” fosse l’integrazione, il suo obiettivo politico era
l’inclusione della comunità afro-americana nel sistema degli Stati Uniti
d’America, piuttosto che il sovvertimento della sua struttura di potere; egli
voleva che la sua gente ottenesse la propria parte nell’economia del paese, nel
mercato delle abitazioni, nel sistema educativo e in tutte le opportunità
offerte della ricca capitalistica società.
II.4.5 Differenze e complementarietà tra
Martin e
Malcolm[30]
La diversità tra le figure di Martin Luther King e
Malcolm X è stata sottolineata fino all’eccesso, mentre è meno nota la loro
reciprocità e complementarietà: alla fine del loro percorso politico questi due
leaders si sono avvicinati l’uno all’altro e
le differenze iniziali, sia nei metodi che negli obiettivi politici, si
sono attenuate.
Le diversità tra i due leaders erano dovute
soprattutto alle diversità delle loro provenienze: Martin, figlio della
borghesia di Atlanta e promettente intellettuale, veniva dal Sud rurale degli
Stati Uniti, Malcolm veniva dalla tumultuosa esperienza della vita nei ghetti
urbani, da un mondo di miseria,
ignoranza e rabbia. Entrambi erano il prodotto delle loro circostanze e ognuno
rappresentava, interpretava e comunicava con il suo mondo usando il linguaggio
più adeguato.
“Le differenze tra i modi di vedere di Martin e di
Malcolm erano dovute in parte alla geografia. Ognuno sviluppò una strategia di
liberazione che era adeguata alla regione in cui operava. Essi erano
complementari, nel senso che si rivolgevano a gruppi diversi di persone nel
contesto delle loro comunità...” [Cone 1991: 247].
Il loro lavoro non era in contrasto, al contrario
il loro ruolo era reciproco.
Dopo il 1965, in seguito allo spostamento del
baricentro del movimento di protesta degli Afro-Americani dal Sud ai centri
urbani del Nord e al mutamento dei soggetti sociali della rivolta e delle forme
di lotta, si verificò quella che James Cone definisce lo “spostamento verso Malcolm”: Martin , infatti, in seguito alle
mutate circostanze, si stabilì a Chicago per entrare in contatto con lo
scontento delle masse nere metropolitane, per capire questa nuova realtà a lui
sconosciuta.
La sua
prospettiva integrazionista era inaccettabile per i neri dei ghetti, ma il suo
fallimento era anche dovuto ai rapporti che Mr. King aveva stretto con la Casa
Bianca di Kennedy e Johnson.
Il contatto con questa realtà determinarono
nell’ultimo anno e mezzo della sua vita la sua trasformazione finale e
l’avvicinamento alle posizioni politiche di Malcolm, che di questa realtà era
stato il miglior interprete.
Martin non abbandonò mai la convinzione della
non-violenza (il metodo), ma cambiò posizione su tutti gli altri punti (i fini)
della sua strategia: attraverso una nuova analisi socio-economica, radicalizzò
la critica della società, accettò l’idea del “colonialismo interno” elaborata
da Malcolm X e affermò addirittura che la separazione tra bianchi e neri era
temporaneamente necessaria per giungere ad una società veramente integrata; l’obiettivo
politico di questa battaglia non era più il raggiungimento dei diritti civili,
ma dei diritti umani, come per Malcolm.
Martin aveva compreso la vera natura del razzismo,
il suo legame indissolubile con la struttura capitalistica statunitense. In questa
nuova ottica, la soluzione di tutti i problemi non poteva che essere la
ricostruzione radicale dell’intera società americana (espressione tipica della
fraseologia socialista), la rivoluzione dei valori, la ridistribuzione radicale
del potere economico.
Negli ultimi mesi di vita in cui espresse la
condanna senza compromessi della politica statunitense in Vietnam e organizzò
una grande marcia dei poveri a Washington -la “Poor People’s Campaign”, scrisse il suo ultimo articolo in cui
riuniva i temi del suo pensiero politico finale:
“...Accettiamo di
avere in casa 40 milioni di poveri...In queste difficili circostanze, la
rivoluzione nera è molto più di una lotta per i diritti dei neri...Ma denuncia
i mali profondamente radicati nell’organizzazione della nostra società, tutti
collegati tra loro: razzismo, povertà, militarismo e materialismo...e conferma
che il vero problema da affrontare è la ricostruzione radicale della società”
[King 1993].
Come rileva James Cone,
“L’incrocio
tra la strada di Malcolm e quella di Martin fu reso possibile da due deviazioni
dai rispettivi corsi: Malcolm riconobbe che la liberazione dei neri americani
passava anche attraverso l’incontro con i bianchi progressisti; King accettò
l’idea che il problema nero fosse, in fondo, un problema di potere” [Cartosio,
Gambino, Naso e altri 1994: 83].
I Walls of
Dignity, le grandi pitture murali che si trovano nei ghetti neri delle
città americane rappresentano Martin e Malcolm, insieme, con gli altri “eroi
della razza”, come le due anime del popolo nero, entrambi patrimonio
irrinunciabile della storia e della cultura afro-americana.
Questa complementarietà è sottolineata alla fine
del film di Spike Lee “Do The Right Thing”[31]:
sullo schermo scorrono due frasi, una è “la cosa giusta da fare” secondo
Martin, l’altra è “la cosa giusta da fare” secondo Malcolm; queste due frasi
solo in apparenza sono in contrasto, in realtà esse suggeriscono due soluzioni
diverse per raggiungere lo stesso scopo: la liberazione degli Afro-Americani.
“Violence as a way of achieving racial justice is both impractical and
immoral, itis impractical because it is a descending spiral ending in
destruction for all.
The old law of
“an eye for an eye” leaves everybody blind. It is immoral because it
seeks to humiliate the opponent rather than with his understanding; it seeks to
annihilate rather than to convert. Violence is immoral because it thrives on
hatred rather than love. It destroys community and makes brotherhood
impossible. It leaves society in monologue rather than dialogue. Violence ends
by defeating itself. It creates bitterness in the survivors and brutality in
the destroyers.”
Martin Luther King Jr
[dal film Do the right thing di Spike Lee]
“I think there are plenty of good people in America
but there are plenty of bad people in America and the bad ones are the ones who
seem to have all the power and be in this position to block things that you and
I need. Because this is the situation you and I have to preserve the right to
do what is necessary to bring an end to that situation, and it doesn’t mean
that I advocate violence, but at the same time I am not against using violence
in self-defense. I don’t even call it viloence when it’s self-sefense, I call
it intelligence.”
Malcolm X
[dal film “Do
the right thing” di Spike Lee]
E’ chiaro a questo punto che la contrapposizione
tra i due leaders è una costruzione strumentale effettuata dalla stampa
americana; per rendere impopolare l’odio, screditarono l’uno opponendogli
l’altro. I media hanno fabbricato immagini semplificate e riduttive di
entrambi: King, il leader responsabile e moderato, beniamino della stampa e
simbolo del bene, rappresentava l’unico modello di comportamento accettabile
per un nero. A lui veniva contrapposto Malcolm X, simbolo del male, dell’odio e
della violenza, che rappresentava il comportamento immorale ed inaccettabile
per un nero, frutto del degrado sociale del ghetto, un-american e anticristiano.
Questo era il modo in cui la stampa influenzava
l’opinione pubblica definendo a priori ciò che era giusto e ciò che era
ingiusto, attraverso la personificazione, la riduzione dei complessi movimenti
politici afro-americani ai loro leaders carismatici.
II.5 La NAACP
La National Association for Advancement of
Colored People, la più antica delle organizzazioni del Civil Rights Movement, fu fondata nel
1909 da cinque filantropi bianchi antisegregazionisti.
La direzione del giornale “The Crisis”, organo ufficiale dell’associazione, fu affidata allo storico, sociologo marxista
e attivista afro-americano William E.
Burkhardt DuBois (1868-1963), il più grande intellettuale
afro-americano della prima metà del XX secolo.
Il programma iniziale della NAACP consisteva in una
lotta legale per abolire la segregazione, per ottenere il suffragio universale,
per la piena attuazione degli emendamenti antischiavisti della Costituzione (il
XIV e il XV) e per il raggiungimento della parità delle opportunità nel sistema
scolastico. Dopo la seconda guerra mondiale si impegnò attivamente per favorire
l’impiego della manodopera di colore e negli anni tra il 1940 e il 1950 lottò
per far iscrivere i neri nei registri elettorali.
Nel 1947 la NAACP presentò all’ONU il documento intitolato “Appello al mondo!
Dichiarazione sul rifiuto dei diritti umani alle minoranze nel caso dei
cittadini di sangue nero degli Stati Uniti d’America e appello alle Nazioni
Unite per la riparazione” scritto da DuBois. A causa dell’oscillazione politica
della NAACP, che aveva un rapporto di compromesso, non conflittuale con le
istituzioni, nel 1944 DuBois abbandonò l’organizzazione e molti iscritti lo
seguirono.
In seguito
alla rottura con la dirigenza della NAACP, avvenuta perché aveva capito lo
stretto legame esistente tra razzismo e sistema capitalistico, DuBois si
avvicinò alle posizioni del socialismo umanitario e del panafricanismo. Il suo
travagliato percorso teorico lo condusse infine ad accettare la teoria
marxista-leninista; infine si trasferì in
Ghana, non a caso il primo stato africano a liberarsi dal colonialismo
europeo.
Pur essendo un’associazione moderata, dal proprio
interno si espressero all’inizio degli anni ‘60 i primi episodi di autodifesa
organizzata, come quello di Robert
Williams [32] o di Medgard Evers (“...we do not deny, but riaffirm, the right of
an individual and collective self-defense against unlawful assaults”).
La NAACP divenne progressivamente sempre più
filogovernativa e legalitaria e, insieme alla Urban League (un’organizzazione filantropica fondata nel 1911) e
alla SCLC, furono le sole organizzazioni nere a rifiutare il concetto di Black
Power (Potere Nero) e a conservare l’appoggio dei bianchi.
II.6 Il CORE
Il Congress on Racial Equality, fondato
nel 1943 da alcuni giovani intellettuali afro-americani, fu la prima
organizzazione integrazionista a iniziare la lotta attraverso l’azione diretta,
non accontentandosi di incidere solamente a livello giuridico (com’era per la
NAACP).
Pur essendo guidata negli anni ‘60 da un moderato
come James Farmer (legato ai
presidenti L.B. Johnson e R.M. Nixon), i quadri di base dell’organizzazione
furono tra i promotori dei Freedom Riders
(i “viaggiatori della libertà”), impegnati contro la segregazione sugli
autobus, e di vari sit-in contro la
discriminazione razziale.
Affiancato dal moderato Roy Innis, nel 1966 fu eletto alla presidenza del CORE Floyd McKissick, il quale condannò
duramente il governo americano sulla questione del Vietnam e aderì alla parola
d’ordine del Black Power, di cui in
seguito diventò uno dei maggiori portavoce.
II.7 Lo SNCC.
“What We Gonna Start Saying Now Is
Black Power”.
Nato all’inizio degli anni Sessanta come frangia
giovanile dei gruppi nonviolenti dell’associazione SCLC di M.L. King, lo Student
Nonviolent Coordinating Commitee, chiamato “Snick”, ha avuto tra i propri leaders Bob Moses, poi Stokely
Carmichael e nel ‘67 Rap Brown (il
quale in seguito diventò un imam musulmano ad Atlanta).
La sua attività consisteva dapprima nell’inviare
nel Sud studenti bianchi e neri, allo scopo di coscientizzare la popolazione
nera sui propri diritti civili.
Quando nel 1966 Carmichael venne eletto presidente,
l’organizzazione espulse i bianchi e lanciò lo slogan: “What We Gonna Start Saying Now Is
Black Power” e nel 1968 parte dello SNCC aderì alle partito delle
Pantere Nere, il BPP.
II.8 Situazione attuale delle organizzazioni
nere
La NAACP è ancor oggi una delle organizzazioni nere
più potenti, con 600 mila iscritti, anche se recentemente la sua credibilità è
stata scossa in seguito alla cacciata del leader Benjamin Chavis, accusato di
molestie sessuali.
In grado di influenzare la politica di Bill Clinton
è anche il Black Caucus, il gruppo parlamentare nero guidato da Kweisi
Mfume, i cui 40 deputati democratici hanno i numeri per bloccare qualsiasi
legge.
La National Urban League (NUL), il cui leader storico Vernon
Jordan ha fatto parte del team di transizione da Bush a Clinton è ancora
attiva.
Ma la vera forza attuale del Black Power è rappresentata dal reverendo Jesse Jackson e l’ex capo di Stato Maggiore delle forze armate Colin Powell.
Parte II - I nazionalisti
“Den Himmel uberlassen wir / Den
Engeln und den Spatzen”
(“Il
cielo abbandoniamolo / Agli angeli e ai passeri”)
Heinrich Heine
II.9 L’UNIA di Marcus Garvey[33]: “God is black!”
Il giamaicano Marcus Garvey, il “Mosé nero”, è una
delle figure più importanti del movimento nero e ancor oggi le sue idee
ispirano il movimento Rastafari[34].
Insuperabile per il talento organizzativo e per la
capacità di comunicare con le masse, negli anni Venti Garvey creò uno dei più
forti movimenti neri nazionalisti di massa. I movimenti precedenti avevano
sostenuto l’indipendenza economica della “Nazione Nera”, ma erano sempre
rimasti limitati a un’élite urbana istruita e a pochi neri intellettuali
borghesi.
Nel 1914 Garvey fondò e fu a
capo della “Universal Negro Improvement Association” (UNIA), che
contrappose un nazionalismo integrale alla certezza di non poter cambiare le
condizioni delle masse nere, se non andando via dall’America e tornando in
Africa (“Guardate all’Africa!”).
Negli anni Venti diffuse il “Back-to-Africa
Movement” (il “Movimento per il ritorno in Africa”)[35],
il cui scopo era di riportare i neri americani in Africa, nella loro terra
madre, e di fondare lì una nuova nazione.
L’impero africano venne
annunciato nel 1921 e Garvey ne fu nominato presidente.
In attesa del “Grande ritorno in Africa”, il
movimento di Garvey si proponeva e perseguiva obiettivi concreti, perché, nel
frattempo, si doveva assicurare alla “Nazione Etiope”[36]
l’indipendenza economica e la separazione (razziale, economica, politica,
sociale e religiosa) dalla società bianca, in cui il pregiudizio razziale era
tanto radicato “da rendere futile ogni appello al suo senso di giustizia”.
L’UNIA intendeva assicurare ai neri non solo
identità, orgoglio di far parte della “poderosa razza africana”, solidarietà e
rispetto di se, ma anche concreti strumenti di potere sociale ed economico per
iniziare a cambiare la collocazione della minoranza nera (Roberto Giammanco la
definisce “casta”) all’interno della società americana.
Per aprire alla “casta” un livello di indipendenza
economica, Garvey fondò la società di navigazione “Black Star Line” (in antitesi all’americana “White Star Line”), con lo scopo di collegarsi commercialmente con
le nazioni nere di tutto il mondo in vista del ritorno in Africa; fondò la “Negro Factories Corporation”, per avviare una produzione industriale
controllata da neri per i futuri scambi con l’Africa, e centri di mutua
assistenza.
Il sociologo e storico nero marxista W.E. DuBois avanzò
una critica[37] nei
confronti delle iniziative di Garvey: egli non costruiva istituzioni veramente
alternative e antagonistiche nei confronti di quelle dei bianchi, ma le
riproduceva separatamente come “brutte copie fondate sulla stessa filosofia di
potere e di successo”. Proponendo la versione nera dell’American Dream e dei suoi valori, Garvey attuava un infantile
rovesciamento in nero del perbenismo piccolo-borghese.
Garvey mitizzava le passate grandezze africane (“In piedi!
Razza poderosa, puoi raggiungere quello che vuoi!”), esaltava “la dignità e la
bellezza della razza nera in esilio”, faceva appello alla solidarietà e
all’orgoglio perché voleva che il suo popolo acquisisse la coscienza della
propria collocazione nel sistema americano e ricostruisse un’identità, il mezzo
per migliorarla.
Nel suo “Credo per il Negro” -“One God, one Aim, One Destiny”- proclamava:
“E’ venuto il momento in cui il Negro deve
dimenticare...la sua adorazione degli eroi delle altre razze e cominciare a
crearsi i propri eroi ed onorarli...Il Negro deve unirsi in una grande
gerarchia di razza...deve seguire una sola fede, quella della fiducia in se
stesso, con un solo Dio, un solo scopo, un solo destino...” [Giammanco 1993:
113].
Proclamò che “Dio è nero!”, ma non era interessato
alla religione e non comprese la sua funzione liberatoria, del culto inteso
come acquisizione di potere [cfr. Giammanco 1993: 117 e seg].
Fallita però l’impresa di portare in Africa trenta
mila famiglie di neri americani, nel 1925 Garvey fu arrestato per bancarotta in
seguito ad un’inchiesta fiscale, nel 1926 fu espulso dagli Stati Uniti e a
causa del suo esilio in Inghilterra il movimento declinò rapidamente.
II.10 La Nation
of Islam.
II.10.1 Da W.D. Farad Muhammad ed Elijah Muhammad a
Malcolm X
Nel 1930 fece la sua apparizione nel ghetto nero di
Detroit un misterioso mullah di nome Wali
D. Farad Muhammad che diceva di venire dalla città santa della Mecca per
insegnare che l’Islam era “la religione naturale dei neri”, per “dire la verità
sull’uomo bianco e prepararlo ad Armageddon”, la guerra tra la razza bianca
dominante e le razze oppresse.
Egli fondò la “Lost and Found Nation of Islam in the
Wilderness of America”, un’organizzazione cui avevano aderito
inizialmente alcune migliaia di seguaci e composta esclusivamente da “black men” (non “Negri”, come li chiamava
Garvey), che costituivano la nazione islamica perduta e ritrovata.
Nel 1934 W.D. Farad Muhammad scomparve, ma prima di
svanire nel nulla nominò suo successore e nuovo messaggero di Allah Elijah
Poole, rinominato Elijah Muhammad.
Ostile a tutti bianchi e in conflitto con le altre
organizzazioni nere, soprattutto con quelle integrazioniste, la Nazione
dell’Islam si proponeva come principale obiettivo quello di fondare una nazione
separata per i neri americani, o negli Stati Uniti o in Africa.
Nel frattempo, lo scopo immediato era di liberare i
“cosiddetti negri” (the so-called negroes)
dai residui della mentalità di schiavi e di allontanarli dal cristianesimo, lo
strumento del dominio della razza bianca.
Negli anni Sessanta si crearono le condizioni per ottenere
una vasta area di consenso tra le masse nere ghettizzate: simbolo e prodotto
del conflitto sociale, i Black Muslim
(i musulmani neri), membri della “Five Percent Nation”[38],
erano diventati il modello ideale di un’identità separata e antagonista.
Negli anni più caldi della rivolta nera la setta
rimase chiusa alle energie più vitali del movimento, il capo spirituale
Muhammad impose ai suoi discepoli l’astensionismo dalla politica e sostenne che
il movimento non doveva immischiarsi negli affari contingenti della politica
locale, perché i suoi piani li trascendevano.
Di fronte a questa metamorfosi conservatrice e
statica della NOI, Malcolm X, che aveva iniziato al suo interno la carriera di
pastore e di politico, fu costretto ad abbandonarla e a fondare un’organizzazione
più democratica e combattiva: la Organization of Afro-American Unity (vedi
cap IV) che internazionalizzava i problemi dei neri d’America e li collegava
con quelli del Terzo Mondo.
II.10.2 Louis Farrakhan
Louis Farrakhan, al secolo Louis Eugene Walcott, è
l’attuale ministro della Nation of Islam,
che oggi conta circa dodici mila militanti, reclutati soprattutto tra i neri
dei ghetti e delle carceri.
Nato nel Bronx, New York, nel 1933, figlio di
immigrati giamaicani (il padre era un maestro elementare, la madre una
domestica), alla fine degli anni Cinquanta, L. E. Walcott, con il nome di
“Calypso Gene”, suonava la chitarra e cantava versi politici in un gruppo
caraibico che si esibiva nei night clubs
di Boston. Fu lì che Malcolm X lo incontrò e lo reclutò.
Nel 1960 il pastore Louis X fu messo a capo della
Moschea di Boston e, dopo l’assassinio di Malcolm X, nel 1965, prese il suo
posto ad Harlem.
Nel 1972, divenne il portavoce della Nation of Islam.
Nel 1975 morì Elijah Muhammad; il suo testamento
nominava nuovo messaggero di Allah e capo spirituale della setta islamica suo
figlio Wallace Deen Muhammad. Egli, però, prima di assumere la leadership
dell’organizzazione, decise di partire per un lungo viaggio in Medio Oriente
per studiare a fondo la dottrina islamica ortodossa. Tornato in patria,
sconfessò il padre, tutte le sue superstizioni razziste e la sua setta che non
professava la vera religione islamica.
La Nazione dell’Islam si spaccò in due parti,
Wallace Deen[39] perse
l’autorità di capo e Farrakhan prese il suo posto, dando vita ad una nuova
corrente della setta[40].
Benché Louis Farrakhan affermi di essere il
continuatore delle idee di Malcolm X, anche se nel numero del 4 Dicembre 1964
del giornale “Muhammad speaks” aveva
affermato:
“Il dado è tratto e Malcolm non riuscirà a fuggire.
Un uomo simile merita la morte” [“La Repubblica” 17 Ottobre 1995].
La famiglia di Malcolm X lo considera il mandante
del suo assassinio; e la figlia di Malcolm X, Qubilah Shabazz, è tuttora sotto
processo a Minneapolis, accusata di aver tentato di far uccidere Farrakhan per
mano di un sicario.
II.10.3 La “One million men march”
Per molti Afro-Americani il 16 Ottobre 1995 è stata
una data storica: è stato il giorno della “One million men march”, la marcia di
un milione di uomini neri, organizzata da Farrakhan, che ha sfiorato la
legittimazione politica e l’investitura di leader nazionale nero.
Questa manifestazione, salutata anche dal regime di
Teheran come “uno schiaffo al governo Usa”, è stato l’evento più impressionante
dai tempi di Martin Luther King.
Farrakhan ha radunato a Washington, davanti al
Campidoglio, un’immensa folla di Afro-Americani provenienti da tutte le parti
del Paese, senza distinzione di religione, classe sociale o di idee politiche,
per denunciare i soprusi che essi ancora subiscono a causa della “supremazia
bianca”, ma soprattutto per dichiarare al mondo che oggi i neri sono uomini
militanti, impegnati, equlibrati e determinati e pronti ad assumersi le proprie
responsabilità nella propria comunità e nelle proprie famiglie.
Ai bianchi non è stato permesso partecipare e anche
le donne nere[41]sono state
escluse e sono rimaste a casa, come (secondo loro) vuole la tradizione
islamica.
Nonostante questa ed altre espressioni di
fanatismo, tra cui le dichiarazioni antisemite, la marcia ha avuto un enorme
successo e il consenso dei neri intorno a Farrakhan è salito al quaranta per
cento.
Nel suo discorso, molto diverso dallo storico “I have a dream” che Martin Luther King
jr. pronunciò nella “Marcia su Washington” del 1963, le principali richieste
che Farrakhan ha rivolto al governo americano si possono schematizzare in sei
punti principali:
Gli obiettivi
di Farrakhan:
1. Fedele alla filosofia politica di Elijah
Muhammad, Farrakhan chiede uno stato separato e indipendente per la gente di
origine africana, il “popolo eletto da Dio”:
“Viviamo in un periodo storico in cui i popoli, le
nazioni e gli individui si devono separare in base alle loro caratteristiche”
[“L’Espresso” 11 Marzo 1994: 92].
“Poiché il
popolo nero è già separato, tanto vale che gli Stati Uniti ci diano un
risarcimento come l’hanno dato ai Giapponesi e finanzino una nostra nazione
separata, sul continente americano o in Africa” [“Epoca” 29 Ottobre 1995].
2. L’iscrizione degli gli otto milioni neri che
ancora non possono votare nelle liste elettorali;
3. L’esenzione dei neri dalle imposte;
4. La scarcerazione dei detenuti di colore;
5. Il divieto dei matrimoni interraziali;
6. Scuole separate per neri e bianchi;
Con dati alla mano la denuncia
di Farrakhan si è soffermata sulla reale e più grave forma del razzismo: la
povertà. Secondo le statistiche:
·
I neri, che oggi in America sono quasi 32 milioni e formano il 13%
dell’elettorato, costituiscono il 13% della nazione che fa uso di droghe.
·
Il reddito familiare è dieci volte inferiore a quello dei bianchi e il salario
medio dei neri è di $ 380 per settimana (quello dei bianchi è di $ 491).
·
I disoccupati fra gli Afro-Americani hanno raggiunto l’11,3% (contro il 4,8%
dei bianchi).
·
Quasi la metà dei bambini neri (il 46%) vive sotto la soglia di povertà (contro
il 17% dei bambini bianchi).
·
Tra gli adolescenti neri sotto i vent’anni, uno su tre è stato in prigione (uno
su 16 ragazzi bianchi ha avuto a che fare con la giustizia).
·
Quasi il 65% delle famiglie nere sono a carico di un solo genitore.
Questo dramma riguarda principalmente i ghetti, dove è concentrato
il trenta per cento della popolazione povera americana, dove nell’ultimo
decennio sono stati assassinati cento mila giovani (i giovani descritti nel
film “Clockers” di Spike Lee, che
voltano le spalle al mondo comunicando in un linguaggio incomprensibile), dove
a causa dei continui pestaggi della polizia (il più famoso è quello di Rodney
King) nascono i gruppi armati.
Tutte queste cose sommate alla
possibile demolizione dell’ “Affirmative
Action”, il complesso di misure legislative che facilitavano l’accesso dei
neri ai posti di lavoro e alle università, potrebbero portare ad una esplosione
razziale inimmaginabile.
Louis Farrakhan cavalca cinicamente tutte queste
tensioni e sfrutta gli umori peggiori degli Americani.
II.10.4 La strategia
Uomo intelligente e senza
scrupoli, di grande istinto politico, predicatore e oratore dotato, grande
animatore di folle, Farrakhan ha capito quale strada gli conveniva percorrere
se voleva catturare i media americani: Martin Luther King è morto perché era
buono; Malcolm X è morto perché è diventato buono. Così Farrakhan si è studiato
il sistema nervoso della nazione americana e ha scelto le tre zone calde in cui
muovere il suo attacco: l’antisemitismo, l’economia e la paura.
1. Il primo punto è l’antisemitismo:
Farrakhan insulta la memoria degli Ebrei, affermando che il
Giudaismo è una “religione-fogna”, che Israele è uno stato fuorilegge,
l’avamposto medio-orientale del capitalismo selvaggio e condanna gli Ebrei per
aver espropriato i Palestinesi. Afferma che “i grandi Ebrei” hanno finanziato
Hitler - un grande uomo, e “dunque c’è poco da sbandierare l’Olocausto”.
Afferma che gli Ebrei, le cui
banche dominano il paese, sono gli strozzini e le sanguisughe che controllano
il sistema finanziario americano, sono i vampiri che succhiano il sangue della
comunità nera, ricordando che nel Sud, dagli anni Venti agli anni Cinquanta, il
75% degli schiavi neri erano di proprietà di Ebrei.
Afferma che l’Aids e la droga
sono un complotto delle banche e della classe dirigente bianca ed ebrea per
liquidare i neri.
La “Lega Ebraica” contro la
diffamazione sta inondando il “New York Times” con intere pagine a pagamento
contro di lui. Ma queste invettive antisemite hanno indignato tutta l’America,
compresa la comunità nera.
2. Il suo secondo e
popolarissimo punto d’attacco è l’ingente debito pubblico americano:
“Qualcuno deve dei soldi a qualcuno. Chi deve quei
soldi? I bianchi...A chi devono essere restituiti quei soldi? Ai neri, che dal
banchetto sono stati esclusi” [“L’Espresso” 29 Ottobre 1995]..
3. Il terzo argomento su cui punta Farrakhan è la
paura: un milione di uomini neri a Washington crea disagio e fa riemergere la tensione.
La sua strategia funziona. Appena sente calare
l’interesse, lancia subito un’accusa. Accusa la polizia americana, dall’FBI in
giù, di tutti i crimini possibili, attacca tutti i bianchi, è intollerante
verso le femministe e gli omosessuali, il Papa e tutti i cristiani.
E’ utile essere malvagio perché nella memoria e
nell’immaginario collettivo è più incisiva l’accusa anziché la difesa.
Secondo Cornell West, il più popolare intellettuale nero degli Stati Uniti, professore di studi afro-americani all’Università di Harvard, la forza di Farrakhan sta soprattutto nella grande diffusione della sua immagine sui media più che nella sua presa reale sulla gente. Il suo successo dimostra piuttosto la grande carenza di una leadership culturale fra gli Afro-Americani. Egli ha affermato inoltre che la qualità dei politici e degli intellettuali neri non è mai stata bassa come oggi [cfr. “L’Espresso” 16 Gennaio 1997].
Secondo altri questa srategia è pericolosissima
perché, in un momento in cui la tensione razziale è altissima, potrebbe
accendere un nuovo feroce conflitto razziale in America.
Con la sua recente visita a Gheddafi e agli
Ayatollah, durante il suo pellegrinaggio nei paesi musulmani, nei covi del
fondamentalismo islamico e dell’antiamericanismo, sta perdendo parte del
credito acquisito tra i neri.
L’11 Febbraio 1996, infatti, Farrakhan è stato il
protagonista della manifestazione svoltasi a Teheran per il diciassettesimo
anniversario della rivoluzione che rovesciò il regime dello scià.
Con il suo discorso ha infiammato la folla,
rendendo omaggio alla memoria dell’Iman Khomeini e definendo il popolo iraniano
“avanguardia della rivoluzione islamica che sta spazzando il mondo”. In
quell’occasione ha dichiarato di voler convertire gli Stati Uniti all’Islam e di
voler sostituire le leggi americane con le leggi coraniche, applicando la Shari’a, la legge islamica.
In un documento pubblicato da “The Institute of Islamic Information and Education” si dichiara che
l’Islam e la Nazione dell’Islam sono due differenti religioni, e che quella di
Farrakhan dovrebbe essere chiamata “Farrakhanismo”:
“The Nation of Islam” is a misnomer, (it) should be
called “Farrakhanism”...The religion of Elijah Muhammad and W.D. Fard (?) died
with their death because their...elected successor, W. D. Muhammad, integrated
the community with the Muslim community at-large, following the Qur’an and
Hadit of Prophet Muhammad (sallallahu alaihi wa sallam)...Luois
Farrakhan...later rebelled and broke his oath with impunity...and restarted
“The Nation of Islam” [“The Institute of Islamic Information and
Education”, III & E Brochure
Series; n° 19].
“Predicatore dell’odio”, “Hitler nero”, un fanatico, un
razzista alla rovescia (come se il razzismo dei bianchi verso i neri fosse
normale e quello dei neri verso i bianchi fosse un “razzismo di seconda
classe”, ancor meno giustificato) e fomentatore di odio e di violenza: sono gli
stessi epiteti usati precedentemente per Malcolm X. E se la storia è maestra,
dovremmo avere imparato a non fidarci di queste campagne di demonizzazione
condotte attraverso i media, una delle armi distruttive più potenti, e in
particolare attraverso la stampa americana (che quella italiana ricalca) di cui
ci si serve per rendere odioso e distruggere all’opinione pubblica un personaggio
scomodo, sovversivo, ambiguo, controverso e un-american,
quindi pericoloso per il governo Usa.
Se si vuole veramente capire e giudicare Farrakhan[42]
e la sua politica, è necessario leggere fra le righe di ciò che ci raccontano i
giornali e andare al di là. Forse, per farci un’idea più obiettiva del valore
di questo leader, bisognerebbe ricercare le opinioni degli Afro-Americani.
Il merito di Farrakhan è comunque quello di aver riportato
il tema del razzismo al centro del dibattito americano e la marcia da lui
organizzata, al di là dei fanatismi, che potrebbero essere soltanto una
strategia shock per rendersi visibile e catturare l’attenzione, è stato un
enorme successo.
Secondo i risultati di una recente indagine nazionale
condotta dal sociologo Barry A. Kosmin il numero dei musulmani negli Stati
Uniti è di circa 1,4 milioni; altre stime ne contano invece 8 milioni, di cui
solo una piccola parte è costituita dai membri della Nazione dell’Islam.
Anche se la principale religione presso gli Afro-Americani
è ancora il Cristianesimo, l’Islam è la principale “growing religion” presso i giovani e, secondo il prof. G. Lipsitz
specializzato in storia africana-americana, l’“Islamic rap”, emerso nei mesi recenti come una nuova voce
socio-politica dalle strade dei ghetti neri, è il più potente canale di
diffusione della fede e dei suoi contenuti.
II.11 Il
Father Divine’s Cult
Uno tra i più noti movimenti neri, il Father Divine’s Cult era capace negli
anni Venti e Trenta di scatenare una potentissima emotività di massa. I suoi
seguaci erano tenuti all’osservanza di un rigido codice morale e di una stretta disciplina contestativa,
infatti spesso avevano a che fare con la polizia.
Nel 1919 George Baker, denominato “Father
Divine”, nel 1936 proclamato Dio dall’International Righteous Government, fondò il suo primo piccolo
“regno”; poi, durante gli anni della Depressione, creò ad Harlem il regno della
“Peace Mission”, un’organizzazione i
cui obiettivi principali erano la creazione di “un governo della pace
universale, della giustizia per tutti, senza distinzione di razza, credo o
condizione sociale”, il cambiamento delle condizioni dei neri mediante la
guarigione dalle loro deviazioni, la lotta contro il razzismo e il segregazionismo, la liberazione dal senso di
inferiorità e il soddisfacimento dei bisogni materiali essenziali.
Il regno del “Padre Divino” costituiva un
microcosmo i cui membri rifiutavano lo spiritualismo e la trascendenza delle
Chiese tradizionali che non avevano mai aiutato veramente i neri d’America.
“Qui, sulla Terra, non ci serve la promessa di una casa
tra le nuvole dove scorrono fiumi di latte e miele. Se Dio non si preoccupa di
me qui ed ora mentre sono vivo, come posso sapere...che lo farà dopo che sono
morto?...” [Giammanco 1993: 109].
Egli insegnava a ritornare sulla terra, alla vita reale, e
ad abbandonare le promesse di una vita migliore dopo la morte; fu per questo suo rovesciamento della
tradizionale religiosità della “torta in cielo” (“the-pie-in-the-sky”), che nel 1913 le autorità lo fecero arrestare;
inizialmente volevano processarlo per “attività sediziose” (la sinistra
imputazione di criminal anarchy o social anarchy), poi lo
giudicarono infermo di mente.
“Father Divine”
fondò i suoi regni in varie città degli Stati Uniti, raggiungendo circa venti
milioni di persone; tra i suoi seguaci c’erano bianchi e neri che, grazie alla
forza della solidarietà di gruppo e della fede nell’autorità e nel “potere
positivo” del loro leader, abolirono l’uso dell’alcool, della droga e del
tabacco, organizzarono imprese cooperative e ignorarono ogni forma di
pregiudizio razziale.
II.12 Il Black Panther Party for Self-Defense[43] (B.P.P.)
“Credevamo di combattere politicamente il sistema,
ma quando il sistema dispone di una capacità tale di manipolazione da spingere
i suoi oppositori a combattersi e distruggersi tra loro, allora è chiaro che lo
sconfitto è il popolo e il sistema è il vincitore”.
Mumia
Abu-Jamal
Non è Farrakhan l’erede di Malcolm X, né gli adepti
della Nazione dell’Islam. I veri eredi del messaggio rivoluzionario di Malcolm
X sono stati i membri del Black Panther Party for Self-Defense
(il Partito della Pantera Nera per l’autodifesa), nuova sintesi del processo
dialettico del movimento nero che aderiva allo slogan del Black Power e che fu
considerato “la più grande minaccia alla sicurezza interna degli Stati Uniti”.
Il BPP nacque ufficialmente nel 1965 (poco prima
dell’assassinio di Malcolm X) nel ghetto di Oakland in California per
iniziativa di due fondatori, due giovani studenti e agitatori, Huey Percy Newton, “the crazy”, 24 anni, principale teorico
del partito e ministro della difesa, e Bobby
Seale[44],
30 anni, presidente del partito, i quali elaborarono un’ideologia che
rispondeva ai bisogni concreti delle masse nere. Tra i primi ad entrare nelle
fila del partito fu Leroy Eldridge Cleaver, 31 anni, ex black muslim e poi seguace di Malcolm X,
nominato ministro delle informazioni.
L’attività principale del partito era di garantire
il diritto all’autodifesa della
comunità nera (con ogni mezzo necessario) nei confronti della violenza
razzista, delle brutalità, delle offese[45],
dei continui abusi e dei linciaggi legalizzati della polizia (“the pigs”) che pattugliava il ghetto
come un esercito di occupazione.
A questo scopo “le pantere” avevano organizzato il patrolling, il pattugliamento della
polizia: Newton e Seale perlustravano il ghetto in auto, armati non solo di
fucili e pistole, ma anche di codice penale e di registratore, e controllavano
il comportamento degli agenti, pronti ad intervenire di fronte a un caso di
brutalità o di abuso di potere.
Grazie ai suoi corsi di giurisprudenza all’università, Newton aveva imparato le leggi della California ed aveva una grande padronanza dei propri diritti, che in seguito sintetizzò a vantaggio di tutti nel “Piccolo manuale di pronto soccorso legale”, dieci regole di comportamento da tenere davanti alla polizia, cui i membri del partito dovevano attenersi per non oltrepassare mai il limite della legalità. Anche le pattuglie armate esercitavano la loro funzione di controllo e di difesa, restando sempre all’interno della legalità e decisi a valersi fino in fondo delle garanzie costituzionali esistenti nel paese.
L’aspetto più interessante di questa organizzazione
è proprio che i suoi membri erano perfettamente informati sulle leggi e sui
diritti civili dei cittadini americani.
Il Black
Panter Party muoveva dal riconoscimento dell’autonomia politica e culturale
dei neri, e intendeva costituire un vero e proprio partito politico, che fosse
l’avanguardia del movimento rivoluzionario negli Stati Uniti.
I suoi leaders furono i primi ad affrontare il
problema leninista dell’organizzazione di un partito rivoluzionario che
svolgesse un ruolo egemone nei confronti dei vasti strati proletari,
trascendendo gli interessi immediati della minoranza nera.
Il documento fondamentale del BPP che racchiude la
sua ideologia, “The Ten-Point Program”,
il “Programma in dieci punti”, rivendicava il diritto all’autodeterminazione,
di autodifesa e riconosceva i bisogni concreti del popolo nero e dell’azione
organizzata necessaria per soddisfarli.
Si intendeva elaborare una teoria rivoluzionaria
che applicasse i principi del marxismo (Marx, Lenin, Mao Tse-Tung) e della tradizione rivoluzionaria nera
(Marcus Garvey, Franz Fanon, Malcolm X) alla specificità della lotta nella
società americana contemporanea.
I punti fondamentali erano:
·
L’analisi del sistema americano, il ruolo imperialista degli Usa, l’oppressione
dei popoli afro-asiatici e latino-americani e lo sfruttamento della “colonia
interna” afro-americana.
·
L’analisi della struttura etnica e di classe della società americana, la
critica al nazionalismo nero chiuso alle alleanze con altre organizzazioni, la
lotta dell’imperialismo dall’interno.
·
La necessità della violenza rivoluzionaria e della lotta armata.
·
L’atteggiamento critico nei confronti della tradizione “democratica” americana
e dei principi della Costituzione, la loro distorsione e inadeguatezza alla
liberazione delle classi oppresse.
Il BPP ha svolto una brillante analisi dell’imperialismo
americano, e la sua ideologia rivoluzionaria costituisce una piattaforma comune
ad altri gruppi della sinistra americana e a tutte le forze antimperialiste,
che vivono all’interno della “Nuova Babilonia”.
Il partito svolse anche un lavoro socio-politico di comunità: assistenza sanitaria gratuita, la formazione di scuole di liberazione, le campagne per il controllo della polizia.
L’attività del BPP rappresentò un grande salto di
qualità per lo sviluppo del movimento e per questo suo ruolo sovversivo fu
sottoposto ad una repressione.
Aumentò il controllo della polizia e iniziò una
repressione sistematica e spietata per distruggere l’organizzazione del partito
e una persecuzione senza tregua dei suoi leaders: i suoi membri venivano
provocati, arrestati, uccisi (solo in un anno e mezzo venti membri furono
uccisi dalla polizia).
Lo scopo era quello di paralizzare il partito,
costretto a concentrare tutte le sue risorse umane e finanziarie nella lotta
per la sopravvivenza. Anche se talvolta tutto ciò consentì un uso politico e
propagandistico dei processi e allontanarono molti Afro-Americani moderati dal
loro profondo rispetto e fiducia per le istituzioni.
Ma oltre agli attacchi diretti, la repressione si
esplicò anche attraverso la costruzione di capi di imputazione per cospirazione
e attentati dinamitardi, oppure servendosi del sistema delle infiltrazioni
nelle fila del partito, o alimentando le ostilità con altre organizzazioni nere
(il consueto “Divide et Impera”). In
tribunale si verificarono alcuni episodi di resistenza...
Quando Newton venne arrestato, accusato di aver
ucciso un poliziotto, iniziò il movimento per la sua liberazione (“Free Huey”), finché nel 1970 la Corte
d’Appello della California lo prosciolse.
Nel 1967-68 iniziò la politica delle alleanze su
due fronti: con i radicali bianchi del partito indipendente Peace and Freedom Party e con gruppi
neri e con organizzazioni di altre minoranze etniche, tra cui Messicani e
Portoricani.
Nel 1968 il BPP si fuse con lo SNCC di Stokely
Carmichael[46],
l’inventore della slogan “Black Power”,
Rap Brown e James Forman.
Nel 1969 la Conferenza di Oakland promosse la
costituzione di un “fronte unito contro
il fascismo”, un’alleanza tra il movimento di liberazione della “colonia
nera” e gli elementi radicali bianchi.
Cleaver venne presentato come candidato alla
presidenza degli Stati Uniti. Ma più tardi fu costretto a scegliere l’esilio ed
emigrare ad Algeri, dove organizzò una sezione internazionale del partito.
Seale venne sottoposto a due processi. Un altro
processo importante è quello di George Jackson[47],
Fleeta Drumgo e John Cluchette, i “Soledad Brothers”, tre neri
rinchiusi nel carcere di Soledad accusati dell’assassinio di una guardia
carceraria e condannati alla sedia elettrica. Le lettere dal carcere[48]
di George Jackson sono tra le testimonianze più significative del movimento
nero.
Un altro arresto famoso fu quello di Angela Davis[49],
un mito, una intellettuale militante iscritta al partito comunista americano
che, secondo Martinelli, era di orientamento nettamente revisionista. [cfr.
Martinelli e Cavalli, 1971: 42]
Tutti questi processi mostrano l’ampiezza del
disegno repressivo.
Mumia
Abu-Jamal[50],
che a quindici anni, nel 1959, fondò la sezione delle Pantere Nere di
Philadelphia e negli anni Settanta fu uno dei più celebri giornalisti
radiofonici, è da tredici anni, dal 1981, nel braccio della morte, condannato
alla sedia elettrica, con l’accusa di aver ucciso un poliziotto bianco. Mumia,
che si dichiara innocente, dalla prigione ha continuato a lottare per le
minoranze e per lui si sono mobilitati gli intellettuali americani e di tutto
il mondo.
CAPITOLO III
MALCOLM
X LEADER DELL’ISTANZA SEPARATISTA
LA
NAZIONE DELL’ISLAM[51]
“Dì:
o miscredenti,
io
non adoro ciò che voi adorate,
e
voi non adorate ciò che io adoro.
Né
io servo ciò cui voi servite
né
voi servite ciò cui io servo.
Voi
abbiatevi la vostra religione, io la mia”
Holy Qur’an, “Surat CIX. Al-Kafirun (“Sura dei miscredenti”)
[Il
Corano 1996: CIX].
Parte
I
III.1. Infanzia e adolescenza.
Malcolm Little, nato a Omaha (Nebraska) il 19
Maggio 1925 e assassinato ad Harlem, New York city, il 21 Febbraio 1965 a soli
trentanove anni, da piccolo criminale del ghetto divenne un leader carismatico
di fama internazionale, un uomo politico geniale, l'Afro-Americano più amato e
più temuto di tutti gli Stati Uniti.
Sua madre Louise, un'immigrata antilliana, e suo
padre Earl Little, pastore itinerante della Chiesa Battista, erano membri
dell'UNIA e seguaci di Marcus Garvey.
Quando Malcolm
aveva solo quattro anni, la casa in cui viveva fu bruciata dai membri
incappucciati della Legione Nera[53],
gli stessi che due anni dopo linciarono il padre, colpevole di aver predicato il “Ritorno in Africa” dal
pulpito di una chiesa battista (molti anni più tardi Malcolm continuò la
battaglia del padre e per questo anche lui fu ucciso).
Durante gli anni più duri della Grande Depressione, la sua
famiglia, che aveva sofferto la fame e la povertà, fu divisa dai funzionari
degli enti assistenziali; i fratelli e le sorelle furono separati e affidati ad
altre famiglie e la madre fu rinchiusa in un ospedale psichiatrico.
Malcolm visse tra collegi, istituti statali e case di
correzione, continuando la scuola[54]
e facendo i lavori più umili, i soli
che fossero concessi ad un “nigger”[55].
III.2. La mentalità del trafficante
Trasferitosi a Boston da una sua sorella, Malcolm scivolò
nella vita squallida e degradata dei bassifondi, affascinato dai gangsters che
dettavano legge nel ghetto[56]
nero di Roxbury e dagli altri loschi personaggi che lo popolavano e convinto
che essere uno di loro fosse per un nero l’unico modo di ottenere
rispettabilità[57].
Arrivato nella mitica Harlem, dov’era conosciuto con il
soprannome di “Detroit Red”, fu
coinvolto in ogni tipo di traffico illegale[58]
della malavita: lotteria clandestina e gioco d'azzardo, vendita di
stupefacenti, sfruttamento delle prostitute, violenza e furto, fino a quando,
nel 1945, appena ventunenne, organizzò una banda di svaligiatori, fu arrestato
per furto con scasso e condannato a dieci anni di carcere. Di solito la
condanna per un reato come quello commesso da Malcolm non superava due anni di
reclusione, ma egli fu condannato a dieci anni a causa della complicità con
Sofia, la sua amante, una donna sposata, borghese, ma, cosa ancor più grave,
bianca.
Ateo, cinico, arrogante, corrotto e aggressivo, l'unica
legge che Malcolm rispettava era il “codice della giungla”, la legge della
sopraffazione secondo cui il più forte sopravvive opprimendo il più debole.
“Quando si diventa
animali, avvoltoi com'ero diventato io nel ghetto, si entra nel mondo degli
animali e degli avvoltoi in cui vale soltanto la legge della sopravvivenza...” [Malcolm
1992: 128].
Il trafficante del ghetto non ha nessuna inibizione
psicologica, non ha religione, non ha nessun concetto morale, nessun senso di
responsabilità civile, nessuna paura. Per sopravvivere egli è sempre in
agguato, pronto a sbranare il prossimo, pronto a speculare su qualsiasi
debolezza umana, sempre frustrato e inquieto. La regola è che, come succede
nella foresta, la scelta è tra: essere predatore o essere preda. Bisogna
aggredire gli altri prima che quelli aggrediscano te, non ci si può mai fidare
di nessuno, ma stare sempre all’erta, perché se ci si abbandona per un solo
momento i lupi affamati ti sbranano.
Malcolm era convinto che gli istinti che aveva sviluppato
sulla strada, le astuzie del trafficante, il senso criminale del lupo e il
coraggio, fossero le uniche risorse necessarie per vivere; la morte non gli
faceva paura, solo tre cose lo spaventavano: il lavoro, la prigione e
l’esercito.
“Ero caduto toccando il
fondo della società dell'americano bianco quando in prigione trovai Allah e la
religione dell'Islam che trasformarono completamente la mia vita” [Malcolm
X 1992: 185].
III.3 Conversione all'Islam
“Non
si nasce una volta sola”
Erick Fromm
“Lo
stupefacente non sarebbe tanto che Dio esistesse davvero:
(ma
sarebbe) ... che un tale pensiero...sia potuto nascere nel cervello di un
selvaggio, di un malvagio animale com’è l’uomo.”
Fedor Michailovic Dostoevskij
Nella prigione di Norfolk, il più illuminato sistema di
detenzione di tutti gli Stati Uniti, Malcolm cominciò ad istruirsi e ad
imparare l'arte oratoria (ereditata dal padre). Passò in quella biblioteca, ricchissima di libri di storia e di
storia delle religioni, tutto il tempo disponibile, fino a diventare il più rispettato protagonista dei dibattiti
che venivano organizzati tra i detenuti della regione.
Spinto dai suoi fratelli e dalle sue sorelle,
Malcolm, che all'inizio della prigionia era stato soprannominato “Satan” a causa del suo atteggiamento
antireligioso, si convertì all'Islam, “the
natural religion for the black men” (“la religione naturale dei neri”),
praticata in America da una setta semisconosciuta chiamata “Lost-Found Nation of Islam” (NOI).
Fu una genuina e sincera conversione che determinò
la sua rinascita spirituale e da quel momento trasformò radicalmente la sua
vita.
Secondo Louis E. Lomax
“Not only was he knocked to the ground by the bright light of truth
while on an evil journey, but he also rose from the dust stunned, with a new
name and a burning zeal to travel in the opposite direction and carry America’s
20 million Negroes with him” [Clarke 1993: xvii].
III.4. L’organizzazione e le regole della Nation of Islam
La Nation of
Islam, piccolo contro-stato nello stato, il cui capo spirituale era “Il Molto Onorevole” Elijah Muhammad, era
una setta pseudoislamica che venerava Allah, ma che poco aveva a che fare con
la religione musulmana ortodossa. Essa disponeva di un apparato organizzativo
che comportava la fedeltà e l’obbedienza assoluta dei membri.
I “Black Muslim”[59],
oltre ad essere un gruppo religioso, costituivano anche un movimento che
offriva rifugio e speranza ai suoi adepti, incoraggiava alla ricostruzione di
dell’identità afro-americana, di una morale, della solidarietà e della
fratellanza.
L’aspetto positivo della Nation of Islam era il suo obiettivo pratico più urgente: elevare
le condizioni fisiche, morali, sociali e politiche degli Afro-Americani: essi avrebbero
dovuto abbandonare la vita sregolata ed immorale che conducevano e obbedire ad
una rigida e ferrea disciplina.
A questo scopo venivano usati mezzi discutibili e si era
costretti a rispettare molte regole: erano proibiti i rapporti sessuali illeciti,
il consumo della carne dell’ “immondo suino”[60]
e di altri cibi considerati malsani, del tabacco, dell'alcool e degli
stupefacenti. Nessun muslim (in arabo significa “musulmano”) poteva andare a ballare, al cinema, a
giocare d’azzardo, non poteva uscire la sera nè con le donne nè con i bianchi;
litigli in famiglia, scortesie e menzogne non erano permesse.
Per riconquistare dignità bisognava essere orgogliosi di
essere neri (“Black is beautiful”,
come insegnava Marcus Garvey), quindi erano vietate tutte quelle pratiche che
mutilavano e distorcevano i corpi dei neri nel tentativo di sembrare belli
secondo i criteri stabiliti dai bianchi, ma che in realtà li rendevano ridicoli[61].
Era vietata la stiratura permanente, usata per ottenere i capelli lisci come
quelli dei bianchi (di gran moda e usata anche da Malcolm), simbolo di
ignoranza, di autodegradazione e della vergogna di essere neri.
Tutte queste leggi
morali venivano fatte rispettare dal “Frutto dell’lslam”, un corpo paramilitare
di Muslim scelti capaci, fedeli e ben addestrati nelle arti marziali.
Le disubbidienze venivano duramente punite con diversi
tipi di sanzione: punizioni fisiche, sospensioni, isolamenti temporanei e nei
casi di trasgressione più gravi, come per 1’insubordinazione al capo spirituale,
era prevista l’espulsione definitiva dall’organizzazione o addirittura la
condanna a morte dei “traditori” (come fu Malcolm).
Secondo Gambino il “Frutto dell’Islam” non venne mai
inquisito dalla giustizia statunitense perché aveva una funzione di mantenere
l’ordine e la disciplina interna di una setta politicamente conservatrice e
statica [cfr. Gambino 1993: 17].
III.5 Pastore del Tempio numero 7 di New York city
“Sorgi
e predica”
Corano
“Non
abbiamo noi dilatato a te il petto alla fede,
E
tolto da te il peso dell’errore
che
aggravava il tuo dorso,
E
esaltato per te la tua reputazione?
Però,
in verità, assieme colla difficoltà è la facilità.
E
quando tu sei libero, adoprati a servire Dio
E
supplica il tuo Signore”
[Corano: surat XII].
Nel 1952, scontati sette anni di prigione, Malcolm
ottenne la libertà con la condizionale e si trasferì a Detroit, dove venne
assunto come operaio alla Ford e contemporaneamente iniziò a lavorare per la Nation of Islam, “andando a pesca” di
proseliti nei bar, nelle sale da biliardo, agli angoli delle strade del ghetto,
dove quei neri poveri, ignoranti e dalla mente ottenebrata, che Malcolm
conosceva tanto bene per essere stato uno di loro, bevevano, bestemmiavano, si
azzuffavano, si imbottivano di stupefacenti e facevano tutte quelle cose che “contribuiscono a mantenere il negro [sic]
sotto il tallone del bianco” [Malcolm X 1992: 235].
Come tutti i Muslim,
anche Malcolm cambiò il suo cognome Little (che apparteneva al padrone di
schiavi Little e che fu imposto ai suoi antenati paterni) con la lettera
incognita “X”, simbolo del nome
africano originario che nessun nero d’America ha mai saputo. Da allora fu
conosciuto con il popolarissimo nome di “Malcolm X”. La “X” veniva poi
sostituita con un più adeguato nome di origine africano. Durante il
pellegrinaggio alla Mecca Malcolm fu chiamato EI-Hajj Malik El-Shabazz[62].
Devoto e convinto adepto, nel 1954 Malcolm fu
nominato “Pastore del Tempio numero sette di New York city” e tornò ad Harlem.
In pochi anni, grazie ai suoi successi e alla sua
abilità di organizzatore e di oratore, fondò nuove moschee in tutte le
principali città del nord degli Stati Uniti e da setta semisconosciuta, la Nation of lslam, si trasformò in
un’organizzazione di massa a livello nazionale.
Malcolm X diventò velocemente un personaggio
popolarissimo, il portavoce più importante e più famoso di Elijah Muhammad, uno
degli oratori più stimati e richiesti dalle università americane, sempre al
centro dell'interesse dei mass-media, criminalizzato dalla stampa come “il seminatore di odio e di violenza”, un
fanatico, un “razzista alla rovescia” e invidiato da molti membri della setta
che lui stesso aveva per la maggior parte contribuito ad ingrandire e
potenziare.
Nel 1958 si sposò con la sorella musulmana Betty X
con la quale ebbe quattro figlie.
Malcolm prestò all'organizzazione un'opera assidua
e senza riposo, fino al 1964, anno della rottura con Elijah Muhammad.
III.6 La rottura[63]
Il 1963
fu un anno di grandi agitazioni e rivolte e del risveglio della lotta nera; fu
l'anno in cui la protesta passò dal Sud ai ghetti urbani delle città del Nord
degli Stati Uniti. Era il preludio di
una rivoluzione. Ma in questo fermento rivoluziorario si resero evidenti gli
aspetti negativi e i limiti della setta basata sul culto del capo a cui ci si
doveva sottomettere senza alcuna riserva, un’organizzazione nazionalistica e
dogmatica, racchiusa in se stessa, all’interno del sistema capitalistico
statunitense, politicamente conservatrice e statica.
La Nation of Islam non
passava dalla propaganda all'azione, rimaneva ai margini della lotta,
isolandosi non solo dai bianchi, ma anche dai neri militanti. Elijah Muhammad
impose ai suoi ministri l’astensionismo dagli affari della politica locale che
non li riguardavano e impedì ai suoi discepoli di prender parte al movimento.
Questa politica di non intervento si spiega considerando
che il suo obiettivo politico mirava esclusivamente alla separazione
dall’America bianca e la sua strategia
non prevedeva di rivoluzionare il sistema americano. Malcolm però aveva
maturato idee diverse: secondo lui, aspettando il giorno del distacco, si
poteve far qualcosa per tentare di eliminare le ingiustizie e la corruzione del
sistema americano.
Nonostante queste insofferenze, egli tentò per
molto tempo di soffocarle perché voleva assolutamente evitare la rottura con
Elijah Muhammad, colui che riveriva come maestro, padre spirituale e padre,
colui che lo aveva trovato nella melma, lo aveva tirato fuori e ripulito e ne
aveva fatto un grande uomo.
Ma fin dall’inizio degli anni Sessanta, Malcolm era
sempre più teso nei confronti delle sue scelte politiche e si sentiva sempre
più costretto dal suo rifiuto a farsi coinvolgere nelle lotte di quel periodo.
L’occasione della rottura fu il commento di Malcolm
in seguito all’assassinio del presidente John F. Kennedy; disse che lo
considerava come un caso di “chickens
coming home to roost” e poi aggiunse “being
an old farm boy myself, chikens coming home to roost never did make me sad,
they’ve always made me glad.”[64]
Malcolm alludeva alla violenza strutturata nel sistema che non esita, quando è
necessario, a sbarazzarsi dei suoi stessi capi. Questa dichiarazione gli valse
una sospensione di novanta giorni dalla Nazione dell'Islam e il silenzio
stampa. La sospensione però non fu mai
revocata.
Questa punizione fu solo un pretesto per zittire e
allontanare Malcolm dalla Nation of
Islam; il vero motivo era il disaccordo che era nato fra i due su come si
doveva condurre la lotta.
Inoltre Malcolm aveva scoperto che “Il Molto Onorevole
Elijah Muhammad” non era poi così onorevole: era un uomo corrotto ed ipocrita,
che non praticava ciò che predicava, colpevole non solo di fornicazione e di
abuso sessuale di alcune giovani donne che lavoravano nella setta, ma anche di
abuso di potere e autorità. “A man is just a man”.
L'8 Marzo del 1964 Malcolm abbandonò la setta che non
rispondeva più alle istanze del popolo nero.
Nel 1964
Malcolm partì per l’“Al-Hagg”, il pellegrinaggio alla città santa della
Mecca, “Sacra Casa di Dio”, quarto pilastro fondamentale (ibàdah) dell’Islam.
Parte
II
III.7 - La
religione come fonte di identità
III.7.1 La soluzione dei problemi dei neri
d’America: l’Islam
“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione
...
il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me ...
e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza.”
Immanuel
Kant
Il principale obiettivo della Nazione dell’Islam
era quello di elevare le condizioni morali, fisiche, sociali e politiche degli
Afro-Americani.
Secondo la prospettiva di Elijah Muhammad, a questo
scopo era innanzitutto necessario che essi trasformassero sostanzialmente e
radicalmente il loro modo di vivere e di pensare, prendessero coscienza delle
proprie condizioni, si ripulissero dalla miseria di cui erano ricoperti,
abbandonassero la vita squallida e immorale che conducevano, allontanandosi da
quel mondo senza regole che è il ghetto, e cominciassero ad amare loro stessi,
dimostrando le proprie capacità.
Solo allora avrebbero potuto cominciare a vivere in modo
degno di un essere umano.
Ma quale forza ignota sarebbe riuscita a strapparli
alle loro abitudini corrotte e a spingerli a reagire, trasformandoli da
soggetti sottomessi e passivi in impavidi guerrieri?
Solo un’ideologia forte in cui credere, a cui aderire,
capace di risvegliare la loro rabbia dal secolare torpore, di ridestare
l'antico spirito battagliero e l’odio, odio per ciò che era stato fatto ai loro
antenati, avrebbe avuto questa capacità.
L'Islam era la risposta al problema dei neri.
“Sei un negro perché non sai chi sei ... non
sai dove sei e non sai come sei arrivato qui. Ma appena ti svegli e trovi una
risposta positiva a tutte queste domande, smetti di essere un negro. Diventi
qualcuno”
[Valvola, Gomma, Woman 1993: 13].
All’origine di tutti i problemi degli
Afro-Americaniera la perdita della vera identità africana e l’acquisizione di
un’identità falsa e artificiale, basata sull’identificazione con la società e
la cultura anglosassone che li estraniava e li escludeva.
Attraverso l'appartenenza e l’identificazione con
un gruppo religioso, la Nation of lslam
offriva una vera identità; l’identità musulmana ricuciva il loro passato
dimenticato, sintetizzando in sè tutta la storia afro-americana e
ripercorrendone le esperienze dalle originarie radici in Africa all'attuale
condizione negli Stati Uniti, passando attraverso gli anni della schiavitù.
L’Islam, religione esclusiva e antagonistica, con
la riscoperta della loro cultura originaria avrebbe reso i neri indipendenti
spiritualmente dai bianchi.
Con l’Islam nel cuore si sarebbe combattuta una
nuova gihad, una nuova guerra santa
contro la società americana per il riscatto del popolo nero.
La Nation of Islam proponeva una
soluzione che si articolava in due momenti maieutici: una pars destruens: distruggere l’identità falsa dei neri attraverso
l’odio (sfruttando il principio secondo cui l’antagonismo e il conflitto con
una gruppo nemico, aumenta il senso di appartenenza, di solidarietà, di
coesione, e soprattutto aumenta
l’identificazione con il proprio gruppo) e una pars construens: si intendeva costruire, nel vuoto formatosi,
un’identità autentica attraverso l’identificazione con l’Islam, “la religione
naturale dei negri”, secondo alcuni “ultima ideologia”, una religione che nutre
una sufficiente carica di odio verso gli ingiusti e gli oppressori, era la
risposta ai loro problemi.
III.7.2 Il concetto di identità
“Identità”,
dal latino idem, che significa
“proprio quello stesso”, si definisce come il senso dell'Io, la riflessione su
di sè, la qualificazione di una persona per cui essa è tale e non è altra. Avere un’ identità significa avere coscienza
di sè in quanto individuo stabile nel tempo e differenziato dagli altri, la
consapevolezza delle proprie radici, della propria storia e del proprio ruolo
all'interno della società.
Il Nuovo Dizionario di Sociologia definisce
l’identità[65] come:
“L’aspetto
centrale della “coscienza di sè”, come rappresentazione e consapevolezza della
specificità del proprio essere individuale e sociale. L’identità è l’appropriazione
e la definizione, da parte del soggetto, delle caratteristiche specifiche della
propria personalità e della collocazione del sè in rapporto agli altri
nell’ambiente sociale...(In base ad essa) l’individuo...si sente...riconosciuto
come tale dagli altri...Il concetto di identità (ha) assunto un ruolo di
mediazione tra individuo e società. (Esso) non si pone dunque a livello
individuale o a livello sociale come autonomi e distinti, bensi nell’ambito del
rapporto Io-mondo sociale; esiste infatti una stretta relazione tra l’identità
come elemento individuale...e...come elemento intersoggettivo, condiviso cioè
da più soggetti” [Demarchi, Ellena e Cattarinuzzi 1987: 970/975].
Secondo C.H. Cooley e G.H. Mead, l’identità è un
prodotto sociale, che si costruisce attraverso l’interazione di una persona con
gli altri e scaturisce dal senso di appartenenza ad un gruppo.
Secondo Luciano Gallino l’identità e
l’identificazione sono processi che si implicano a vicenda:
“Non si dà identità nè
soggettiva nè oggettiva senza il riferimento a qualche forma di
identificazione, nè esiste identificazione che sia scindibile da un’identità” [Gallino
1982: 145].
Quindi, secondo questa prospettiva,
l’identificazione con un gruppo religioso, che sarebbe diventato il punto di riferimento
per gente sbandata, era uno dei modi possibili per acquisire un’identità.[66]
Secondo George Breitman, gli insegnamenti di Elijah Muhammad, anche quelli più
fantastici, si adattavano perfettamente ad aiutare i neri in America e per
Stone l’assurdità di quella mitologia non toglieva nulla alla funzione
terapeutica dal punto di vista psicologico nei confronti dei credenti.
III.7.3 Conseguenze della perdita d’identità
“Non sai
neanche chi sei, non sai neanche, poiché i diavoli bianchi te lo hanno nascosto,
che appartieni a un razza che dette vita ad antiche civiltà ricche di oro e di
re. Non conosci neanche il vero nome della tua famiglia e non sapresti
riconoscere, se ti capitasse di sentirla, la tua vera lingua. Il diavolo bianco ti ha impedito ogni vera
conoscenza dei tuoi simili...” [Malcolm X 1992: 197].
La separazione forzata dalla cultura africana, la
schiavitù, la segregazione, la discriminazione, l’ignoranza e la povertà
avevano distrutto il senso di identità e di autostima dei neri d'America, gli
avevano fatto perdere la dignità, l'orgoglio e il rispetto di loro stessi.
Durante quattrocento anni di schiavitù, i padroni gli
avevano fatto credere che il “povero negro”, “essere meno che umano”, meritava
la sua condizione a causa della sua natura innata di essere inferiore; egli
sarebbe stato più felice se non fosse stato incoraggiato a cercare
l'impossibile.
Con il passare del tempo lo
spirito dei neri fu completamente spezzato e molti Afro-Americani giunsero a
perdere fede in se stessi e a credere quello che gli veniva insegnato fin da
piccoli: “meno di esseri umani”.
La conseguenza fu che essi
cominciarono a comportarsi come ci si aspettava da loro, secondo i tipici
stereotipi[67] con cui i
neri venivano immaginati e rappresentati dai bianchi: pigri, irresponsabili,
inaffidabili, irrazionali, indolenti, alcolizzati, drogati, infantili, privi di
iniziativa, ecc.
La riconquista dell’identità di Afro-Americani era
di fondamentale importanza, perché la loro falsa identità di cosiddetti “negri” era l'arma usata dai bianchi per
mantenerli in stato di soggezione, come burattini incapaci di pensare a sè autonomamente e nel
proprio interesse.
Infatti, la conseguenza della
perdita dell’identità per un individuo (o un gruppo) è che, non sapendo chi è e
che cosa vuole, egli sia come un corpo senza testa, pronto ad agire come
strumento di qualcun altro; il vuoto che si crea per la mancanza di identità,
infatti, tende per un bisogno umano, a riempirsi di qualsiasi altra falsa
identità.
III.7.4. La controversia sull’autodefinizione
Dalla fine dell’ottocento si è sviluppata una controversia
su quale fosse il termine più corretto per definire la popolazione di origine
africana. E per la prima volta i neri hanno affrontato la questione rifiutando
le definizioni attribuite loro dai bianchi.
“Negro” è il termine stigma della
schiavitù, da cui il dispregiativo “Nigger”. Malcolm X fece notare come
“negro” avesse la stessa pronuncia di
“Knee-Grown”, che in inglese
significa “cresciuto in ginocchio”; fece notare anche che le loro pelli non
erano affatto nere, ma di mille sfumature del marrone.
“L’imbroglio più grande
viene messo in atto quando ci chiamano negro ... Non siamo “negroes”, non lo
siamo mai stati finché non ci hanno portato qui e resi tali ... (Chiamandoci
così) ci impediscono di sapere effettivamente chi siamo ... Finché usate la
parola “negro” per darvi un’identità, non potete vantare dei diritti su nessuna
forma di cultura ... poiché non esiste una “lingua negra” ... non esiste una
“patria negra”, non esiste una “cultura negra” ... Chiamandovi “negri” non vi
fanno esistere...Anticamente potevamo essere identificati dai nomi che avevamo
prima di venire qui ...” [Breitman 1992: 79/81].
Dopo l’abolizione della schiavitù divenne frequente l’uso
del termine “black”. Ma alla fine dell’ottocento predominava l’espressione
apparentemente più neutra “colored”, che, secondo il principio
“separate but equal”, segnalava i
luoghi dove i nerierano ammessi.
I membri della Nation
of Islam usavano l’espressione “cosiddetti
negri”, “the so-called negros”.
Marcus Garvey insegnava invece ad usare il termine “Negro” (sempre con la lettera maiuscola)
con un nuovo “orgoglio di razza”.
“Afro-American”, che prendeva in
considerazione la combinazione delle due culture dei neri, quella africana e
quella americana, fu il termine con cui tutti, integrazionisti e nazionalisti,
si autodefinirono durante gli anni Sessanta.
Ma mentre per Martin Luther King “Afro-Americano”
descriveva meglio di tutti gli altri termini la difficoltà storica e culturale
che i neri incontravano nel processo di integrazione nel “crogiolo americano”,
per Malcolm X aveva un significato politico, antagonista: egli intendeva
riscoprire la storia passata e presente del popolo nero, sottolineare le
origini africane; non per integrarsi nel sistema americano ma per
rivoluzionarlo.
“(Il)
termine «negro» viene erroneamente usato ed è degradante agli occhi delle
persone di eredità africana informate e dotate di rispetto per se stesse. Denota tratti del carattere stereotipi e
svilenti e classifica un intero segmento dell'umanità sulla base di false
informazioni. Da qualsiasi punto di
vista intelligente, è un simbolo della schiavitù e aiuta a prolungare e
perpetuare l'oppressione e la discriminazione.
...
Tutti gli Afro-Americani e gli Africani intelligenti e informati continuano a
respingere il suo uso tanto nella forma di nome che in quella di aggettivo vero
e proprio. Il suo uso sarà considerato
oscurantista, degno di biasimo o deliberatamente offensivo sia nei discorsi che
nei testi scritti.
Noi accettiamo l'uso di
«afro-americano», africano e uomo nero, in riferimento a persone di eredità
africana. Nei confronti di tutte le altre parti del genere umano viene
esercitata questa forma di giusto rispetto.
Non desideriamo di più e non accetteremo di meno”
[Breitman 1992: 51/55][68].
Negli anni Settanta “black”
aveva completamente sostituito “negro”
nei libri di testo, nel linguaggio dei media e nella saggistica.
Nel 1989 il reverendo Jessie Jackson propose il termine “African-American”,
dando più importanza alla componente culturale africana rispetto a quella
americana.
James Brown e Maulan Ron Karenga, che facevano parte della
corrente del nazionalismo culturale, lanciarono lo slogan “Black is beautiful”, segnando la definitiva condanna del termine “negro”.
Roberto Giammanco ha chiarito il criterio puramente
storico secondo cui usa i termini “negro”, “nero” ecc.
In questo lavoro anche io
utilizzo diverse espressioni riferendomi agli Afro-Americani a seconda del
contesto e delle citazioni, ma personalmente preferisco “Africano-Americano”,
“Afro-Americano” o nero” (“Black”),
rispettando la sensibilità e le preferenze degli interessati: i neri. Vorrei
far notare che la traduzione in italiano della maggior parte dei testi che ho
consultato non rispettano affatto la lingua originale, l’inglese, e continuano
a usare il termine “negro”, nonostante il suo accento sprezzante [cfr. Valvola,
Gomma, Woman 1993: 13].
III.7.5
Perché proprio l’Islam[69]
“Non pace sovra ogni cosa, ma
guerra”
Nietzsche
L’apparizione dell’Islam era qualcosa di nuovo per
l’America: nella complessa e variegata tradizione religiosa nera e bianca degli
Stati Uniti non ve n’era traccia. Nel 1913 Noble Drew Ali, fondatore del
movimento social-religioso dei Moors (i Mori), utilizzò per la prima volta in
America un’ideologia islamica [cfr. Lanternari, 1967: 244/257]
Se improvvisamente l’Islam, che non era la
religione dei padri, apparve e fece proseliti nella comunità afro-americana fu
perché i suoi princìpi fondamentali rispondevano alle loro istanze più urgenti
in quel particolare momento storico.
Meglio delle altre la via dell’Islam si adattava
alla situazione degli Afro-Americani. E’ questo il senso in cui va intesa la
loro conversione.
1. Religione esclusiva e antagonistica, l’Islam rendeva i neri spiritualmente indipendenti
dai bianchi.
2. Religione
antiborghese[70] e
rivoluzionaria, il suo scopo era di rendere migliore la struttura religiosa,
sociale, economica e politica degli Stati Uniti d’America.
3. L’Islam, una delle religioni più diffuse nel continente
africano e nei paesi del terzo mondo, riunificava gli Afro-Americani con i loro
fratelli in Africa, Asia, e America Latina in nome di una comune esigenza di
liberazione dalla stessa oppressione imperialistica. L’Islam, per la sua
vocazione universalistica, era la religione della fratellanza fra oppressi che
internazionalizzava la loro lotta.
4. L’Islam
incoraggia i suoi fedeli alla lotta anzichè alla sottomissione:
“Nel nostro libro, il
Corano, non c’è nessun insegnamento a soffrire pacificamente. La nostra
religione ci insegna ad essere intelligenti. Siate pacifici, gentili, obbedite
alle leggi, rispettate chiunque, ma se qualcuno leva la mano contro di voi,
mandatelo al cimitero...occhio per occhio, dente per dente, testa per testa,
vita per vita...” [Giammanco 1994: 133].
Maometto era l’esempio da imitare: egli aveva scelto di
affermarsi con mezzi umani, ricorrendo alla violenza se necessario, mentre Gesù
Cristo, che aveva scelto di morire come uomo, di sacrificarsi e di soffrire,
era l’esempio da abbandonare.
Con l’Islam nel cuore essi avrebbero combattuto una jihad[71],
una guerra santa contro la società americana per il riscatto del popolo nero.
Nella confusione dovuta alla perdita dell’identità, l’Islam non era solo un rifugio
ma un grido di battaglia.
5. L’Islam
è la religione della vera fratellanza, della giustizia sociale, della
solidarietà tra i fedeli, dell’uguaglianza e della parità umana al di là delle
differenze di nazionalità, colore della pelle e cultura[72].
“Il
fondamento del sistema sociale islamico riposa sul principio della parità degli
esseri umani e...della loro fratellanza ... L’Islam ... non cerca affatto di
cancellarle [le differenze], ma afferma il vantaggio che esse presentano ... I
pregiudizi ... [basati] sulla razza biologica, sul colore della pelle, sulla
lingua, sulla nazionalità ecc. sono disapprovati dall’Islam.
L’Islam
considera manifestazioni di pura ignoranza le distinzioni di ceti alti e bassi,
di classi inferiori o superiori, di autoctoni e stranieri. Esso annuncia a
tutti gli uomini del mondo che essi discendono dagli stessi progenitori e che
perciò sono fratelli e hanno pari dignità in quanto esseri umani ... Se vi è
una reale differenza tra uomo e uomo, essa non può essere una differenza biologica,
epidermica, geografica e lingiustica, ma una differenza di idee, di fedi, di
principi ...
Chiunque
... può integrarsi in questa comunità, risieda egli in America o in Africa ...
abbia la pelle chiara o scura ... Non saranno soggetti a discriminazioni
razziali, nazionali o di classe di alcun genere. L’Islam può espandersi in
tutto il mondo e sulle sue fondamenta può elevarsi l’edificio della fraternità
universale ... [anche con i non musulmani] ciò comunque non implica che cessino
di essere fratelli” [Maududi: 67/70].
La Sciari’ah, la
legge islamica, ha sempre dichiarato
ingiusta la discriminazione degli uomini per il colore della pelle. Un hadit di Maometto ci tramanda queste
parole:
“Un Arabo non è superiore
ad uno straniero, né un bianco ad un negro: la bontà e la fede rendono gli
uomini superiori ad altri uomini” [Gabriele Mandel Sugana
1967: 49].
Nel Corano è scritto:
“Noi abbiamo creato tutti
i figli di Adamo degni e rispettabili...e abbiamo fatto di voi nazioni e tribù
perché possiate conoscervi a vicenda. In verità, il più nobile di voi agli
occhi di Allah è colui che è più pio...” [Maududi:
132].
“...E si
formi da voi una nazione di uomini che invitano al bene, che promuovono la
giustizia e impediscono l’ingiustizia” [Qur’an
III, 104]; “i credenti e le credenti son
l’un l’altro amici e fratelli: fra loro e fra i partiti mettete pace, e vi sia
equità e giustizia ...” [Qur’an XLIX, 9-10].
“Nessuna costrizione
nella religione...E' meglio la giustizia senza religione, piuttosto che la
tirannia di un principe devoto...La pietà non consiste nel volgere la faccia
verso l'oriente o l'occidente, la vera pietà è quella di chi crede in Dio...e
dà dei suoi averi...agli orfani e ai poveri ed ai viandanti e ai mendicanti e
per riscattare gli schiavi ... (Qur’an II, 177)” [Sugana 1962:
49].
Secondo
l’islamista Tofic Fahd il significato essenziale dell’opera di Maometto fu la
riforma morale e sociale del popolo arabo [cfr. Puech 1986: 45-46]; l’Islam era
quindi la religione adatta a risollevare le condizioni degli Afro-Americani, ad
allontanarli dal “vitello d’oro” e da tutti gli idoli della società americana e
a ritrovare la loro vera identità.
La concezione della religione come strumento di
emancipazione è in contraddizione con la critica materialistica che Marx
muoveva alla religione, “l’oppio dei popoli”, la sovrastruttura che riflette e
mantiene uno stato di dominio.
Ma l’eredità marxista ha svolto anche una diversa
analisi della religione: Ernst Bloch ha affermato ad esempio che in Marx è
presente anche un’idea della religione come protesta contro la condizione di
alienazione dell’esistenza. Egli ha inoltre distinto la fase “eretica” e sovversiva del Cristianesino da quella
“teocratica” che distrugge l’apertura verso il nuovo.
“Antonio
Gramsci ha fornito le prime direttive per un approccio diverso, da parte del
materialismo storico, ad una comprensione sociologica della religione”
[Beckford 1991: 152]. Egli pensava che
fosse possibile coltivare una forma non ecclesistica di religiosità, priva
delle contaminazioni ideologiche degli interessi della classe dominante, che
costituisse una forza di liberazione, da utilizzare per la formazione di una
coscienza di classe rivoluzionaria. In questo modo, egli si distaccava dalla
concezione meccanicistica e deterministica del rapporto tra struttura e
sovrastruttura, e pensava che sarebbe stato possibile “esercitare un controllo
sulla coscienza con strumenti culturali...pre-condizione essenziale
all’esercizio del potere politico” [ibidem: 152/157].
Mentre la religione musulmana svolgeva per i neri
una funzione rivoluzionaria e liberatrice, fonte di entusiasmo, di speranza e
di utopia, al contrario, il cristianesimo, aveva sempre svolto un ruolo di
conservazione dell’esistente[73],
mezzo di controllo sociale, efficientissimo instrumentum
regni, funzionale alla legittimazione e al mantenimento del potere e del
predominio dei bianchi sui neri.
Come aveva scritto C. Eric Lincoln nella sua tesi
di dottorato sulla Nation of Islam:
“La religione cristiana è incompatibile con
le aspirazioni dei negri americani alla dignità e all'eguaglianza. Essa ha
rappresentato un ostacolo invece che un aiuto...Ha accettato che tra i suoi
fedeli si praticasse la discriminazione in base al colore della pelle, sebbene
avesse dichiarato che la sua missione era quella di stabilire una fratellanza
universale sotto Gesù Cristo.
L'amore
cristiano è l’amore dell'uomo bianco per se stesso e per la sua razza. Per chi
non è bianco l’Islam rappresenta la speranza di giustizia e di uguaglianza nel
mondo che dovremo costruire” [Malcolm X 1992: 281 e seg.].
III.7.6 L’opera di Maometto: la riforma morale e
sociale del popolo arabo
Secondo l’islamista Tofic Fahd il significato essenziale
dell’opera di Maometto fu la sua riforma morale e sociale del popolo arabo
[cfr. Puech 1986: 45-46].
In questa intenzione del Profeta si possono ricercare
alcune assonanze con il progetto della setta pseudo-islamica, la Nazione
dell’Islam, di riformare il popolo nero, di allontanarlo dal “vitello d’oro” e
da tutti gli idoli della società americana e di ritrovare la sua vera identità.
Secondo Toufic Fahd:
“Maometto è stato uno dei
maggiori riformatori dell’umanità. Attorno ad un Dio unico...egli ha saputo
raccogliere le sparse schiere degli Arabi, fornendo loro un nuovo ideale [una
nuova identità] e unificandoli con i legami di una nuova fraternità destinata a
spandersi e ad affermarsi in tutti i continenti” [Puech
1986: 45].
Con la sua predicazione e la sua opera Maometto voleva
restaurare la tradizione di Abramo, corrotta dall’oscuro medioevo che l’Arabia
centrale conobbe dopo l’introduzione del culto degli idoli: trecentosessanta
idoli popolavano il recinto sacro, la moralità era assente, la compassione e
l’onestà sconosciute, gioco e usura all’ordine del giorno. Acquistata la coscienza
della degenerazione del suo popolo e dell’idolatria accentuatamente decadente,
Maometto decise di riformare le strutture religiose e sociali della Mecca e di
restaurare l’antico ordine di giustizia sociale.
Contro le tradizionali rivalità tra tribù e contro
l’individualismo separatista degli Arabi, Maometto sostituì una nuova legge
basata sulle comunanza della fede in un unico Dio, ma prima della sua vittoria
clamorosa, dovette affrontare una sanguinosa battaglia contro i politeisti
della Mecca durata sette anni.
All’inizio del VII secolo, infatti, la città della Mecca
era diventata il maggior centro religioso della penisola arabica e ciò era la
fonte della sua prosperità economica. Un gruppo di gente aveva accumulato una
favolosa ricchezza che li aveva abituati al lusso, ai piaceri, ai divertimenti,
ai vizi, e aveva creato profonde differenze con gli altri strati sociali.
Questa diseguaglianza sociale si andava accentuando e tracciava un solco
profondo tra l’oligarchia dominante e la massa della popolazione. Un vasto moto
popolare di scontento e di insoddisfazione preparò il terreno alla predicazione
coranica, incentrata, all’inizio, sul giudizio finale e sulla punizione
esemplare che spettava a coloro che vivevano in un lusso scandaloso e privavano
i poveri dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza.
Non volendo annullare la personalità degli Arabi
annettendoli o ai Cristiani o agli Ebrei, Maometto diede vita ad un monoteismo
arabo sulla base dei risultati acquisiti dalla teologia biblica, ma adeguato
alla cultura e alle aspirazioni del popolo.
Così interpreta l’opera di Maometto Toufic Fahd:
“Maometto,
questo “infedele”, questo “anticristo”, oggetto di anatemi da parte di tutto il
mondo cristiano del Medioevo, non aveva fatto altro che ricondurre all’ovile
del Dio degli ebrei e dei Cristiani il grande gregge dei figli di Ismaele, che
nè il proselitismo ebraico né le missioni cristiane erano riusciti a
distogliere da un’idolatria divenuta anacronistica, dopo l’ormai remota
scomparsa del paganesimo semitico ed ellenistico” [Puech
1986: 46].
III.7. La natura malefica del Cristianesimo in
Friedrich Nietzsche
“ Rallegratevi, dunque e saltate:
perché ecco, grande è la vostra ricompensa in cielo” [Luca
6, 23]
“Se voi non
perdonate agli uomini le loro mancanze, neppure voi il Padre vostro nei cieli
perdonerà” [Matteo 6, 15]
Uno del temi preferiti dal pastore Malcolm X erano
le Sacre Scritture, l’arma ideologica più formidabile a disposizione dell’uomo
bianco per rendere schiavi milioni di esseri umani di colore “pagani e
infedeli”; "Religio instrumentum
regni” insegnava Niccolò Machiavelli, la religione cristiana era stata un
efficientissimo strumento per regnare, di controllo sociale, mezzo per
conservare e legittimare il potere[74].
Malcolm X voleva allontanare i neri d'America dalla
religione dei bianchi, la religione del perdono (dei neri verso i bianchi
naturalmente), del "porgi l'altra guancia", del Paradiso dopo la
morte e della sottomissione.
Questa religione aveva persuaso il "cosiddetto
negro" a porgere sempre l'altra guancia, a non ribellarsi ad obbedire, ad
inginocchiarsi quasi fino a strisciare e doveva essere abbandonata.
“- Chi ti ha dato
un padrone?
- E’ Dio che me
lo ha dato.
- Chi dice che
dovete obbedire al padrone che Dio vi ha dato?
- Lo dice Dio”
[Giammanco 1993:17]
In prigione Malcolm aveva letto molti libri, tra
cui anche i libri di filosofia di Nietzsche.
Friedrich Nietzsche (1844-1900), figlio di un
pastore evangelico, in una delle sue ultime opere, L’Anticristo. Maledizione
del Cristianesimo (1888), in un delirio profetico ed esaltato, metteva in
guardia gli uomini contro la religone cristiana, firmandosi “L’Anticristo”.
Mentre
questa religione persuadeva a porgere sempre l’altra guancia, a non ribellarsi,
ad obbedire e ad inginocchiarsi quasi fino a strisciare, Nietzsche vede l’Islam
come la religione dell’orgoglio e della fierezza che non rinnega gli istinti
vitali dell’uomo:
“Se
l’Islam ha in dispregio il Cristianesimo, ha in ciò mille volte
ragione...(Esso) ci ha defraudato del raccolto della civiltà antica; e più
tardi ci ha defraudato di quello della civiltà islamica...Perché doveva la sua
origine a istinti aristocratici, virili, perché diceva sì alla vita...In
seguito i crociati combatterono qualcosa, di fronte a cui sarebbe stato più
conveniente per essi prostrarsi nella polvere, -una civiltà rispetto alla quale
persino il nostro secolo diciannovesimo potrebbe sembrare molto povero, molto
"tardo". -Indubbiamente essi volevano saccheggiare: l'Oriente era ricco...
Le crociate -una superiore pirateria e null'altro!...(Una) guerra d'inimicizia
mortale contro ogni cosa nobile sulla terra!
Cristianesimo, alcool -due grandi mezzi di corruzione...” [Nietzsche
1990: 92-93].
In questa condanna, da cui Nietzsche escludeva anche
il Buddhismo, ricostruiva il ruolo svolto dalla Chiesa nella storia: essa è
sempre stata portatrice di una religione conservatrice, funzionale al
mantenimento del potere e del predominio, corruttrice dei buoni istinti,
degenerata, dannosa, e decadente; questa è la religone che conduce gli uomini a
contraddire la vita e a preferire ciò che gli è nocivo, che insegna la “morale
degli schiavi”. La Chiesa ha addomesticato i suoi fedeli all’obbedienza cieca e
alla sottomissione senza opposizione.
"Io condanno il
cristianesimo, levo contro la Chiesa cristiana la più tremenda di tutte le
accuse...Essa è per me la massima di tutte le corruzioni immaginabili..Essa ha
fatto di ogni valore un disvalore, di ogni verità una menzogna, di ogni onestà
un'abiezione dell'anima” [ibidem: 95].
"Chiamo
pervertito...un individuo, quando esso perde i suoi istinti, quando sceglie,
quando preferisce, quel che gli è nocivo" [ibidem: 7].
"Il suo mezzo è
rendere malati[75] -indebolire
è la ricetta cristiana dell'addomesticamento..." [ibidem: 26].
"L'amore (cristiano) è quello stato in cui l'uomo vede ...le cose così
come non sono...Nell’amore si sopporta più che in qualsiasi altra condizione,
si tollera tutto" [ibidem:28].
"(Gesù) il primo
cristiano" -e temo anche l'ultimo...- è per profondissimo istinto un
ribelle contro tutto quanto è privilegiato -egli vive, combatte sempre per
"diritti uguali" [ibidem: 65].
Il
profeta Zarathustra annuncia alla folla la “morte di Dio”, perché la fede nel
vecchio Dio dei Cristiani, “il Dio come ragno”, era diventata inaccettabile, e
la nascita del “superuomo”, che rimane fedele al senso della terra.
Parte
III
III.8 Lezioni fondamentali della Nation of Islam
III.8.1 Il razzismo[76]
della Nation of Islam.
“White man is the devil”
Ultimo Atto. Si sta svolgendo il processo dei giudici neri
contro l’“uomo bianco simbolico”, per i delitti compiuti nei confronti dei
popoli di colore di tutto il mondo. Si apre il sipario: solo sulla scena l’uomo
bianco, l’imputato, ascolta la lunga lista delle accuse contro di lui. “Signori della Corte, l’uomo bianco è il
diavolo!”. Il giudizio finale è unanime: “Colpevole!”. Condannato a morte,
mentre viene trascinato fuori dall’aula del tribunale, l’uomo bianco grida
tutto ciò che “di buono” ha fatto per i “negri”.
Nella trama di quest’opera teatrale, intitolata Orgena, che significa A
Negro scritto al contrario, l’autore, Louis X, sintetizzava tutta
l’avversione che la Nazione dell’Islam nutriva verso la “razza bianca”.
Come tutti i seguaci della setta, anche Malcolm era profondamente
razzista ed aveva una visione dicotomica del genere umano: da una parte tutti i
popoli di colore oppressi e dall’altra i bianchi, gli oppressori. Secondo
questa visione, la “razza” bianca era responsabile di tutti i mali del mondo.
“Non
esistono nè l’Inferno nè il Paradiso, queste non sono altro che le condizioni
in cui la gente vive in questo mondo. E il negro [sic] americano è stato
all’Inferno per quattrocento anni. Se l’Inferno è in terra, anche il diavolo è
in terra. Il diavolo è la razza bianca”
[Malcolm X 1992: 241 e seg.].
Con l’espressione “White
man is the devil”, egli si riferiva alla tradizione storica dell’uomo
bianco collettivo, alle crudeltà, alle perfidie e all’avidità che avevano
sempre caratterizzato il suo comportamento nei confronti delle altre “razze”.
Elijah Muhammad, insegnava che l’uomo bianco, inferiore
moralmente e culturalmente, era stato creato artificialmente da uno scienziato
pazzo di nome Yacub per seminare odio nel mondo; la “razza” bianca, degenerata
e corrotta, era destinata a dominare il mondo per seimila anni ma poi si
sarebbe autodistrutta.
Secondo questa profezia, il periodo della sua dominazione
stava per finire e il popolo nero si sarebbe potuto salvare dalla catastrofe,
soltanto se si fosse separato dai bianchi.
III.8.2 L’obiettivo politico della Nation of Islam: il separatismo
A differenza del Civil
Rights Movement che lottava per l’integrazione, per la Nation of Islam l’unica soluzione realistica per risolvere il
problema razziale, il più grave problema interno degli Stati Uniti d’America,
era la completa separazione dei neri dalla società bianca.
“Separiamoci da
questo padrone di schiavi. Non mendicate l’integrazione...” [Malcolm X
1992: 301].
Malcolm X, portavoce del “Molto Onorevole Elijah
Muhammad”, raccontava che fin dai tempi della schiavitù c’erano due tipi di
“negri” [sic] in America: “the house-nigger” (il “negro di casa
o di cortile”) e “the field-nigger” (il “negro dei campi”); mentre il primo, che
era una minoranza, si identificava con il suo padrone bianco, il secondo, che
era in maggioranza, lo odiava e voleva liberarsi dalla schiavitù.
Malcolm spiegava che ancora esistevano questi due tipi di
“cosiddetti negri”: c’era il tipo borghese, l’integrazionista, uno “zio Tom[77]
del ventesimo secolo”, cieco di fronte alle reali condizioni del suo popolo,
che si identificava con i bianchi e che chiedeva l’integrazione. Ma c’era anche
un altro “negro” sulla scena: quello che voleva la separazione.
I Black Muslim
chiedevano la separazione, ma non nella forma della segregazione, un principio che i superiori applicano agli
inferiori, che significa che una comunità è separata ma è governata e
controllata dall’esterno.
Essi chiedevano la separazione,
che si ottiene quando una comunità separata è governata dagli stessi membri che
ne fanno parte. Essi controllano ciò che gli appartiene: controllano la propria
economia, la propria società, indirizzano la propria politica e non dipendono
da nessun altro.
La
Bibbia dice “Dio benedica la creatura
che ha del suo”, ma il povero “cosiddetto negro” non aveva niente: nè il suo
nome, nè la sua lingua, nè la sua cultura, nè la sua storia, e non aveva un suo
paese. Non aveva neanche una mente autonoma e pensava di essere nero perché Dio
lo aveva maledetto[78].
Per
Malcolm X, l’integrazione non
rappresentava una soluzione al problema razziale. Al massimo si sarebbe potuto
ottenere qualche briciola di integrazione, un’integrazione puramente formale e
simbolica.
Coloro che si sforzavano per ottenere l’integrazione
creavano il problema anziché risolverlo e quei bianchi ipocriti che si
atteggiavano a liberal-progrssisti, fingendo di volere che i negri venissero
integrati nella loro società, lo perpetuavano.
Nel discorso intitolato “Venti milioni di neri in una prigione politica, economica e psicologica”
del 23 Gennaio 1963 Malcolm X disse al suo pubblico:
“Questo nuovo tipo di
nero non ritiene affatto un onore trovarsi in America. Sa di non essere
arrivato qui sulla Mayflower. Sa di essere stato portato qui su una nave di
schiavi...(Egli) non si scusa affatto di trovarsi in America, nè si scusa
perché la sua presenza in America costituisce un problema per lo “zio Sam”...Sa
di essere stato portato qui contro la sua volontà...Rapire é un crimine. E la
presenza in America...di venti milioni di neri è una prova vivente...del
delitto che lo “zio Sam” ha commesso...quando la nostra gente fu portata qui in
catene...” [Gambino 1993: 44].
Era necessario arrivare ad una soluzione totale e
definitiva. Il progetto della separazione tra bianchi e neri e di creare una nazione indipendente
presentava due alternative:
1. Il ritorno dei
neri in Africa; il governo americano avrebbe dovuto offrire, almeno per i
primi venti-venticinque anni, i mezzi di trasporto, i macchinari necessari a
sviluppare un sistema agricolo e tutto il necessario per iniziare lì una nuova
vita, fino a che non si fosse raggiunto lo stadio della completa
autosufficienza e della piena indipendenza.
2. Ma se il governo non avesse permesso l’esodo di massa
del popolo nero, visto che non era possibile vivere insieme pacificamente, la
sola alternativa a questa soluzione sarebbe stata quella di ritagliare nel
territorio americano una regione
separata e riservata ai soli neri, nella quale la comunità afro-americana
sarebbe emigrata[79].
Anche in questo caso, il governo avrebbe dovuto offrire,
nel primo periodo, tutto ciò di cui essa avrebbe avuto bisogno per dare inizio
a una civiltà, non per beneficenza, ma per saldare un antico debito: infatti,
il principale contributo alla crescita degli Stati Uniti era stato il lavoro
degli schiavi neri, il lavoro accumulato nei salari non pagati e trattenuti a
milioni di uomini e donne per trecentodieci anni aveva arricchito gli Stati
Uniti d’America. Era giunto il momento di ripagare il debito.
Bisognava imitare gli Ebrei, i quali avevano ottenuto ciò
che volevano: Israele, la Terra Promessa.
Malcolm X, che per anni aveva creduto nel separatismo, nel
1964 lo definì “un programma a lunga scadenza”; poi, più tardi, abbandonò
definitivamente l’idea della nazione separata per sostenere che i neri
avrebbero dovuto restare negli Stati Uniti e combattere lì per ciò che
apparteneva loro di diritto.[80]
III.9 L'oratoria di Malcolm X.
Liberazione
attraverso il linguaggio
L’uso che Malcolm faceva del linguaggio come strumento
di liberazione si inseriva nel solco della grande tradizione americana di
oratoria. Egli affidava al contatto diretto con il suo uditorio, esclusivamente
e rigorosamente composto da Afro-Americani, la diffusione del suo messaggio.
Martin Luther King e Malcolm X facevano uso di
modelli retorici che rispecchiano le loro differenze: mentre King rimaneva
nell’alveo dell’oratoria tipica dei predicatori del Sud, solenne, ricca di toni
fortemente emotivi e di pause, e densa di metafore bibliche e richiami morali,
la retorica di Malcolm X era un distillato in chiave politica del parlare del
ghetto; i suoi discorsi erano più aggessivi e gridati, ricchi di ironia e
sarcasmo, di apologhi, di allusioni, di assonanze, di esempi storici e pieni di
aneddoti tratti dalla realtà sociale e politica.
Lo scopo era per entrambi l’educazione, ma mentre
King muoveva dalla sofferenza, Malcolm muoveva dalla rabbia.
Anche Malcolm si era formato nella tradizione
oratoria della chiesa battista (suo padre era un pastore agguerrito) e spesso i
suoi discorsi avevano l’andamento drammatico, catastrofico e spettacolare del
sermone.
Ma l’originalità e la grandezza
di Malcolm X sta nell’essersi rivolto alle masse nere dei ghetti,
tradizionalmente escluse dalla vita politica; egli offriva al suo pubblico di
“dannati della terra” (per usare l’espressione di Franz Fanon) la possibilità
della comprensione e un modello di identificazione e di crescita
politico-culturale.
I giovani arrabbiati dei ghetti
si riconoscevano e si riconoscono ancor oggi in Malcolm X perché egli era
l’unico tra tutti i leaders neri capace di comunicare con i "cats in the street”, i ragazzi del
ghetto, e di usare il loro linguaggio. Aveva questa capacità perché era
cresciuto nei ghetti e lui stesso per anni era stato un “gatto randagio”.
In quest’uso del gergo, dell’intonazione, della
gestualità, nel ritmo delle frasi e delle immagini, nelle battute irridenti,
sarcastiche, provocatorie, illuminanti dei suoi ragionamenti, essi ritrovavano
il proprio modo di parlare e di capire.
Quei ragazzi imparavano a parlare per strada e nella strada, dove anche
la dialogicità è competitiva, i giochi[81]
con le parole sono giochi di sopravvivenza.
Non è un caso che il RAP (Revolution Against Power), che mette in musica la tipica
aggressività verbale del ghetto, abbia spesso ripreso le parole di Malcolm X e
può essere considerato una delle eredità del suo messaggio[82].
III.10 I discorsi del pastore Malcolm X
“Salaam
alaikum fratelli e sorelle musulmani, state a sentire come l’uomo bianco ha rapito,
derubato e stuprato il nostro popolo negro [sic] ...”, così cominciavano i discorsi infiammati del pastore Malcolm X.
Egli affondava la lama della denuncia negli angoli
più profondi dell’emotività dei neri, sceglieva i temi che più riuscivano a scuotere
il suo pubblico, facendolo rimanere impietrito e sconvolto dalla rabbia: gli
orrori della schiavitù di cui essi, incredibilmente, avevano un’idea romantica
-“Cento milioni di Africani furono
sradicati dalla loro terra. Dove sono oggi? Alla fine del periodo della
schiavitù non c’erano che venticinque milioni di Africani nell’emisfero
occidentale. Cosa successe agli altri settantacinque milioni?...”, la vera
storia africana, dei suoi grandi imperi e delle sue antiche civiltà (“Chi erano quei ‘Mori’ che conquistarono
mezza Europa? Erano Africani. Li hanno chiamati ‘Mori’ per non far capire che
gli Africani furono un popolo di conquistatori...”), e il lavaggio del
cervello subìto dai neri con il cristianesimo perché dimenticassero le loro
nobili origini.
“Il più
grande delitto della storia umana era il traffico di carne nera che ebbe inizio
quando il diabolico uomo bianco fece la sua apparizione in Africa. Milioni di uomini, donne e bambini negri
[sic] furono assassnati e strappati alle loro terre per essere trasportati,
sulle navi negriere, in Occidente, incatenati, frustati e torturati come
schiavi” [Malcolm X 1992: 199].
I suoi discorsi erano, prima di tutto, formazione
politica e rappresentavano il modello per instaurare un rapporto antagonistico
con i bianchi.
Malcolm insegnava a rileggere criticamente la
storia (sbiancata e distorta nei testi scolastici e universitari), l’attualità
e ogni altro evento, smascherando le falsificazioni e gli imbrogli tesi a
nascondere la verità, e insegnava a dubitare di come le cose erano sempre state
insegnate a neri, a leggere dietro le righe ad acquisire senso critico;
spiegava che era necessario comprendere l’origine, il vero significato e l’uso
di ogni singola parola[83].
“La vera
conoscenza è che la storia, nei libri dell'uomo bianco, è stata distorta in suo
favore e che al negro [sic], per centinaia di anni, è stato fatto il
"lavaggio del cervello...Il diabolico uomo bianco aveva impedito alla
gente negra [sic] qualsiasi conoscenza della loro stirpe,...della loro lingua,
della religlione e cultura passata finché il negro [sic] americano non era
diventato la sola razza [sic] sulla
terra che ignori completamente la propria vera identità. A questo negro [sic]
si insegnò che nella sua Africa nativa non c'erano che pagani e selvaggi che,
come scimmie, saltavano di albero in albero...” [Malcolm
X 1992: 198/200].
CAPITOLO IV
L’ORGANIZZAZIONE
PER L’UNITA’
AFRO-AMERICANA (O.A.A.U.).
LE
IDEE FONDAMENTALI
“Mi appello ai lavoratori, ai contadini, agli
intellettuali rivoluzionari, agli elementi illuminati della borghesia, alle
altre persone illuminate di tutti i colori, bianchi, neri, gialli, mulatti
ecc., perché si uniscano nell’opposizione alla discriminazione razziale
praticata dall’imperialismo Usa e perché sostengano i neri americani nella loro
lotta contro la discriminazione”.
Mao Zetung
IV.1 La Muslim Mosque Inc.
L’8 Marzo 1964 Malcolm abbandonò la Nation of Islam e dichiarò:
“Ho intenzione di
organizzare e dirigere a New York city una nuova moschea, chiamata Muslim
Mosque Inc., che costituirà la base religiosa e ci darà la
forza spirituale necessaria per liberare la nostra gente dai vizi che
distruggono la fibra morale della nostra comunità” [Malcolm X 1992: 372].
“Il Nazionalismo
Nero sarà la nostra filosofia politica,.... economica e sociale...
indipendentemente dalle... credenze religiose...” [Giammanco 1994: 141].
Malcolm aveva intenzione di creare una nuova
organizzazione per eliminare le deviazioni del nero americano; il “negro”
americano era mentalmente malato, per la sua accettazione passiva della cultura
dei bianchi; spiritualmente malato, perché per secoli aveva accettato il
Cristianesimo che chiedeva al cosiddetto “cristiano negro” di sopportare tutte
le crudeltà dei cosiddetti “cristiani bianchi”; economicamente malato, perché
contribuiva meno di tutti al settore produttivo, incarnando alla perfezione la
figura del parassita e vivendo nell’illusione di poter progredire solo perché
si trovava “fra le pieghe dell’enorme pancia
di quest’enorme vacca che è l’America bianca”; ma soprattutto il negro
americano era malato politicamente, perché lasciava che l’uomo bianco lo
dividesse, facendogli accettare sciocchezze come quella di essere “democratico
negro”, “conservatore negro”, oppure “liberale negro”, mentre un blocco di
dieci milioni di votanti afro-americani avrebbe potuto decidere l’equilibrio di
potere nella politica americana, visto che il voto dell’uomo bianco era quasi
sempre diviso in proporzioni uguali [cfr. Malcolm X, 1992: 367-368].
Dopo la rottura con Elijah Muhammad e in seguito al pellegrinaggio alla Mecca, Malcolm X aderì alla dottrina islamica ortodossa. Considerò la religione esclusivamente una questione di fede e di scelta personale, mentre la lotta dei neri era una questione che andava affrontata sul piano politico.
I Black Muslim
rifiutavano la corrotta società americana; Malcolm passava dal rifiuto alla
ribellione e all’organizzazione per cambiarla. Fu questa l’essenza della sua
trasformazione ideologica. Egli voleva creare un’organizzazione con una diversa
impostazione politica e con un diverso tipo di rapporti fra la dirigenza e la
base.
Mentre i Black
Muslim vivevano sotto la guida e il controllo del loro capo religioso
Elijah Muhammad, al quale si sottomettevano in modo incondizionato, accettando
i suoi dogmi e la sua disciplina, al contrario Malcolm voleva creare
un’organizzazione democratica, che si fondasse su un lavoro collettivo; per
questo, richiedeva il contributo di idee e suggerimenti, consigli e critiche da
tutti i quadri, apprezzava soprattutto le idee dei giovani studenti, bianchi e
neri. Intendeva creare l’unità di tutti i neri, a qualunque religione
appartenessero, all’interno di un movimento che abbandonava il settarismo
religioso per svolgere un’azione di massa.
Ma Malcolm si rese subito conto che la Muslim Mosque Inc., la Moschea Musulmana, essendo un’organizzazione religiosa,
aveva un potere di richiamo limitato, che di fatto escludeva tutti i
non-musulmani. Tre mesi dopo, il 28 Giugno 1964, fondò L’“Organization of Afro-American Unity” (OAAU).
IV.2 L’Organizzazione per l’Unità Afro-Americana
“La mia nuova organizzazione per l’unità afro-americana è
un gruppo senza pregiudiziali religiose né settarie, costituito allo scopo di
unire gli Afro-Americani sulla base di un programma costruttivo volto alla
conquista dei diritti umani” [Malcolm X 1992: 477].
Malcolm X creò un nuovo movimento a carattere laico, per
promuovere l’unità tra tutti i neri d’America con i loro fratelli Africani e
tutti gli altri popoli non-bianchi, per la conquista della libertà “by
any means necessary”.
“Con ogni mezzo necessario...questo è il nostro motto.
Vogliamo la libertà con ogni mezzo necessario. Vogliamo la giustizia con ogni
mezzo necessario. Vogliamo l’uguaglianza con ogni mezzo necessario” [Valvola,
Gomma, Woman 1993: 44].
Il 28 Giugno 1964 il nuovo movimento fu costituito col
nome di “Organization of Afro-American Unity”, OAAU, con sede
provvisoria presso l’Hotel Theresa di Harlem, venne reso pubblico il suo
programma e Malcolm fu eletto presidente. L’OAAU seguiva la lettera e lo
spirito dell’ “Organization of African Unity”, l’OAU [84],
costituita nel 1963 per promuovere l’azione comune dei governi africani
indipendenti; così come i leaders africani si erano uniti per realizzare gli
obiettivi comuni nell’interesse di tutti gli Africani, superando le divergenze,
l’organizzazione di Malcolm invitava tutti i leaders afro-americani a superare
le divergenze e a trovare punti di accordo per lavorare insieme nell’interesse
di tutti i ventidue milioni di neri.
Dopo il pellegrinaggio alla Mecca e numerosi viaggi (Il
Cairo, Kartum, Addis Abeba, Nairobi, Zanzibar, Lagos, Accra, Monrovia, Conakry,
Algeri...Beirut...) Malcolm incentrò tutta la sua attenzione e i suoi sforzi
sulla possibilità che Africani e Afro-Americani si unissero e stabilissero un
rapporto di comunicazione e aiuto reciproco.
Ventidue milioni di Afro-Americani sarebbero stati una
grande forza positiva per l’Africa che l’uomo bianco ancora depredava delle sue
risorse naturali, così come in passato aveva sfruttato le sue risorse umane, e
le nazioni africane indipendenti avrebbero potuto esercitare pressioni a
livello diplomatico per eliminare la discriminazione razziale in America.
La struttura di potere americana aveva sempre tenuto
divisi i neri (Divide et impera) ed
ciò che Malcolm stava facendo perché questi cominciassero a pensare su scala
internazionale era un grave pericolo.
IV.3 La questione delle alleanze[85]:
il “possibilismo programmatico”
Malcolm dichiarò che era disposto a collaborare con chiunque,
neri, bianchi, integrazionisti, cristiani, comunisti, socialisti ecc., e con
chiunque altro fosse sinceramente interessato a eliminare l’ingiustizia che
opprimeva il popolo nero.
Questa nuova flessibilità, il “possibilismo
programmatico”, non era frutto ne di indecisione, ne di ambiguità, ma della
ricerca di nuove idee e soluzioni e di una realistica apertura nei confronti di
qualsiasi contributo utile ai suoi obiettivi.
I bianchi solidali alla sua causa avrebbero potuto
contribuire, a condizione che fossero autorganizzati e non era permesso loro di
affiliarsi. Essi avrebbero dovuto combattere il razzismo sul fronte di
battaglia dove c’era veramente razzismo e cioè nelle loro stesse comunità.
“Non ci può essere una vera unità con loro (i bianchi) finche
non si è raggiunta prima una unità fra neri. Non ci può essere solidarietà tra
i lavoratori se prima non c’è la solidarietà razziale”.
Questo non significava affatto che Malcolm considerasse
impossibile una solidarietà di classe tra bianchi e neri, era al contrario la
chiarificazione della condizione necessaria per impostare su basi ampie e
durature questo tipo di solidarietà.
“Mi sono reso conto dell’importanza di poter contare su un’unità d’azione tra tutti popoli, sia neri che bianchi. Ma l’unica condizione per il raggiungimento di questo obiettivo è che prima i neri siano uniti”.
IV.4 Il pellegrinaggio alla Mecca[86]
“Viaggiare amplia il tuo orizzonte mentale” (Malcolm X), e
il viaggio di un uomo aiutò ad allargare l’orizzonte di milioni di uomini.
Il mese dopo aver fondato la Muslim Mosque Inc., il 13 Aprile 1964, Malcolm partì per la Terra
Santa per compiere il pellegrinaggio (Hajj)
alla Mecca, uno degli obblighi religiosi di ogni musulmano ortodosso. Nel mondo
musulmano fu chiamato: El-Hajj Malik El-Shabazz.
Ritornò in America il 21 Maggio 1964.
Oltre a rafforzare i suoi legami con l’Islam ortodosso,
Malcolm incontrò studenti, giornalisti, parlamentari, ambasciatori e capi
politici con i quali non smise mai un momento di parlare del problema razziale
in America.
Di fronte ad un unico Dio, pellegrini musulmani (Muhrim) provenienti da ogni parte del
mondo, di tutte le “razze”, colori, forme e dimensioni si riunivano e pregavano
insieme come fratelli in un’atmosfera cordiale e amichevole.
“...Pellegrini dal bianco dell’avorio al colore del
mogano, attraverso tutte le sfumature, prendevano parte allo stesso rito dando
prova di uno spirito di unità e fratellanza che le mie esperienze in America mi
avevano portato a credere non potesse mai esistere tra bianchi e uomini di
colore...” [ibidem 1992: 422].
“Ebbi la
sensazione che non esistesse alcun problema di colore e per me fu come fossi
uscito di prigione...Cominciai per la prima volta a considerare sotto un’altra
luce l’uomo bianco...e fu l’inizio di un mutamento radicale” [Malcolm X 1992:
376].
Per l’Islam, il significato e lo scopo del pellegrinaggio
è quello di sottolineare la fondamentale unità di tutti gli uomini di fronte ad
un solo Dio.
Nel mondo musulmano Malcolm constatò che gli uomini con la
pelle bianca si comportavano in modo fraterno gli altri. Questa fu l’esperienza
che determinò la trasformazione fondamentale nelle convinzioni di Malcolm.
Egli cominciò a riconsiderare il suo odio razzista e a
comprendere il vero meccanismo del dilemma razziale americano. Era l’inizio di
un mutamento radicale nel modo di considerare i bianchi e la questione del
razzismo, il più pernicioso e degradante male del mondo.
IV.5 La questione del razzismo[87]
IV.5.1 Malcolm ripudia il razzismo
Durante i dodici anni che trascorse nella Nazione
dell’Islam, Malcolm aveva sempre accusato, denunciato, condannato l’uomo
bianco, “il diavolo dagli occhi azzurri (blue
eyed) e i capelli biondi”, per gli atroci crimini commessi ai danni di
tutti i popoli di colore della Terra.
In quegli anni era convinto che in America il razzismo
fosse talmente radicato che l’unica soluzione per risolvere i conflitti
razziali era la completa e definitiva separazione tra la “razza” bianca
inferiore e la “razza” nera superiore.
In parte a causa dell’influenza dell’Islam ortodosso, in
parte per essere venuto a contatto con rivoluzionari sia di pelle bianca che di
pelle nera, Malcolm subì una profonda trasformazione interiore e abbandonò
l’intera dottrina mitologica di Elijah Muhammad sulla malvagità innata dei
bianchi.
Malcolm ripudiò il
razzismo in tutte le sue forme e da allora in poi giudicò gli uomini in base
alle azioni e atteggiamenti e non più per il colore della loro pelle.
“E’ vero che in passato ho lanciato roventi accuse contro
tutti i bianchi. Non mi macchierò più di tale colpa perché ora so che alcuni
bianchi sono veramente sinceri...La vera fede dell’Islam mi ha mostrato che una
condanna totale nei confronti di tutti i bianchi è altrettanto sbagliata di
quella che molti (bianchi)...fanno nei confronti dei neri...” [Malcolm X 1992:
423].
“In passato mi sono lasciato adoperare per lanciare violente accuse a tutti i bianchi...Oggi,
grazie alla rinascita spirituale...non sono più disposto a sottoscrivere tali
accuse globali contro un’intera razza...Non sono un razzista e non accetto
nessuna delle concezioni del razzismo...” [Giammanco 1994: 175].
IV.5.2 La vera
causa del razzismo: il sistema capitalistico
Malcolm si rese conto che il fenomeno del razzismo non si
è verificato in ogni tempo e in ogni luogo e che non è nella natura dell’uomo
odiare le altre “razze”. Quindi la causa e le radici del pregiudizio razziale
che si manifestava in America, andavano ricercate nelle caratteristiche
specifiche dello stesso sistema americano.
Dopo aver studiato la natura dell’economia capitalistica
del sistema politico e sociale americano, Malcolm concluse che il razzismo non è affatto un fenomeno
casuale o marginale, una “questione morale”, ma al contrario è una componente
ideologica strutturale ineliminabile del modo di produzione capitalistico e lo
strumento essenziale di dominio della politica imperialistica statunitense.
Le differenze razziali furono usate per inventare
l’ideologia dell’inferiorità dei neri che aveva la funzione di spiegare,
giustificare e legittimare lo sfruttamento, mettendo a posto le coscienze e
tranquillizzando gli animi.
Secondo Malcolm “non
ci può essere capitalismo senza razzismo”, questi sono due fenomeni
indissolubilmente legati l’uno all’altro: “Siamo
poveri perché siamo neri e neri perché poveri”.
Erano degli
ingenui o degli ipocriti coloro (gli integrazionisti e tutti i moderati
riformisti) che affermavano di voler sradicare “il grave problema del razzismo
che affligge la nazione”, volendo mantenere inalterato il sistema politico ed
economico.
La verità era che per risolverlo si dovevano operare
cambiamenti radicali nell’intera società. L’unica soluzione era la rivoluzione.
“(Le cause principali del pregiudizio razziale sono)
l’ignoranza e l’avidità, aggiunte ad un abile sistema di diseducazione che si
articola parallelamente al sistema americano di sfruttamento e oppressione...”
[Giammanco 1994: 299].
“...(Si tratta) di
una congiura organizzata e sostenuta dal Governo. Non c’è nessuno che mette
ostacoli sul vostro cammino tranne coloro che fanno parte del Governo...(esso)
fa parte di una congiura volta a privarvi del vostro diritto di voto, di ogni
opportunità economica,..., di un’istruzione...E’ proprio...il Governo degli
Stati Uniti d’America il responsabile dell’oppressione, dello sfruttamento e
della degradazione del popolo nero in questo paese...” [ibidem: 150].
La “strategia dello smascheramento”, come la chiama
Roberto Giammanco, di cui si serviva Malcolm X, consisteva nella
chiarificazione, attraverso il rovesciamento del potere di definizione dei
bianchi, della condizione oggettiva dei neri americani, sempre in fondo alla
piramide, strutturata nella dinamica di classe e nel quadro economico. La
terribile condizione dei neri era tale perché essi dovevano essere sfruttati e
poveri, e i più poveri erano quindi sempre i neri.
IV.6 L’unica soluzione possibile: la rivoluzione
“Che accade ad un sogno
infranto?
Rinsecchisce come uva al sole?
O
va in suppurazione come una ferita...
Forse si incurva come un carro
troppo carico.
Oppure esplode?”
[King 1993: XVIII].
“Una rivoluzione non deve essere qualcosa di meccanico, da
preparare. La rivoluzione semplicemente esplode, deve esplodere.”
Bob Marley
“La rivoluzione negra si è sviluppata esattamente come era
stata progettata dalla congiura comunista fin dal 1928.”
J. Edgar Hoover, Direttore
dell’FBI, 1970
Nell’ultimo anno di vita, nel 1964-65, Malcolm perfezionò
e ampliò la sua prospettiva rivoluzionaria, in linea con le lotte di tutti i
popoli sfruttati e oppressi del mondo.
Secondo Malcolm il sistema politico-economico degli Stati
Uniti andava radicalmente trasformato, perché al suo interno non sarebbe mai
stato possibile risolvere il problema dell’ingiustizia razziale, colonna
portante nel funzionamento della macchina capitalistica. L’unica soluzione era
la rivoluzione, il rovesciamento completo e definitivo del sistema e la sua
sostituzione con un sistema migliore.
Malcolm espresse questo concetto con una bellissima
metafora:
“...E’ impossibile che una gallina faccia un uovo d’anatra,
anche se entrambi questi animali appartengono alla famiglia dei pennuti. Non
rientra nella struttura fisiologica della gallina fare un uovo d’anatra...Il
sistema vigente in questo paese non può produrre la libertà per gli
Afro-Americani. E’ impossibile, sia dal punto di vista economico che da quello
politico e sociale...” [Giammanco 1994: 12].
“Il sistema...può riprodurre solo ciò che lo ha prodotto.
L’unico modo in cui una gallina possa fare un uovo d’anatra è rivuluzionare il
sistema” [Valvola, Gomma e Woman, 1993: 117].
“Il sistema americano è stato prodotto dalla schiavitù del
nero e questo particolare sistema è in grado di riprodurre solo ciò che lo ha
prodotto. L’unico modo è di rivoluzionare il sistema” [Cartosio, Gambino, Naso
e altri, 1994: 40].
“La rivoluzione è come una foresta in fiamme. Brucia tutto
sul suo cammino...La parola appropriata per definire la rivoluzione è umwaelzung, che significa “completo
rovesciamento, cambiamento completo”...la rivoluzione nera non è rivoluzione
perché condanna il sistema e poi chiede al sistema che ha condannato di
accettarli nel loro sistema. Questa non è una rivoluzione -una rivoluzione
cambia il sistema, lo distrugge e lo sostituisce con uno migliore...Quello che
ha fatto il bianco in America è stato di accorgersi che c’è...una rivoluzione
non-bianca in tutto il mondo e la vede abbattersi sull’America. E per
respingerla ha appiccato un incendio artificioso che ha chiamato “rivolta nera”
e se ne serve contro la vera rivoluzione nera che sta avanzando ovunque su
questa terra...” [Valvola, Gomma e
Woman, 1993: 10].
Se la scelta dell’America fosse stata quella di continuare
a corrompere la Costituzione piuttosto che di rispettarla, allora sarebbe stata
inevitabilmente travolta dall’invincibile marea storica dell’umanità oppressa;
i bastioni dell’imperialismo e del razzismo sarebbero stati rovesciati con la
forza.
Nell’ultimo discorso (18 Febbraio 1965) Malcolm disse che:
“Viviamo in un’epoca rivoluzionaria e la rivolta dei neri
americani fa parte della generale ribellione contro il colonialismo e
l’oppressione che caratterizzano il nostro tempo...
E’ scorretto considerare
la rivolta dei neri semplicemente come uno scontro razziale tra essi e i
bianchi o come un problema puramente americano...Quella cui assistiamo oggi è
una ribellione generale degli oppressi contro gli oppressori, degli sfruttati
contro gli sfruttatori.
La rivoluzione nera non è una rivolta razziale. Noi
vogliamo mantenere rapporti fraterni con chiunque sia disposto a vivere sulla
base della fratellanza...” [Giammanco 1994: 318].
Coloro che consigliavano ai neri pazienza e non violenza
non erano che marionette dell’imperialismo Usa e della supremazia bianca. Essi
erano considerati dei reazionari incoscienti che con i loro discorsi “assennati
e responsabili” non facevano altro che mantenere in piedi un sistema
oppressivo.
IV.7 Il Nazionalismo nero rivoluzionario
In Marxism and
The Negro Struggle[88],
Breitman distingue due tipi fondamentali di nazionalismo nero:
1. Il nazionalismo
nero puro e semplice è interessato esclusivamente o quantomeno
principalmente ai problemi interni della comunità nera e non si preoccupa dei
problemi della società americana nel suo complesso, o della natura della
società all’interno della quale si trova la comunità nera, e non ha idee o
programmi per trasformarla.
Malcolm non era questo tipo di nazionalista, e se lo era
fino ad un certo punto della sua vita, non fu così fino alla fine.
Studiando
l’economia e la natura del sistema americano, viaggiando, riflettendo e parlando
con la gente di tutto il mondo era arrivato alla conclusione che non basta che
i neri controllino la loro comunità per essere liberi e trattati come esseri
umani. Infatti se contemporaneamente non si operano anche dei cambiamenti
radicali nell’intera società, ogni sforzo per la libertà sarà vano, perché lo
sfruttamento e il razzismo sono una componente essenziale della società
americana.
2. Il nazionalismo
nero rivoluzionario ha in più la coscienza dell’esigenza di un rinnovamento
sociale dalle fondamenta, di una trasformazione dell’intera società americana.
Questa era la posizione di Malcolm. Egli non era più solo un nazionalista nero, ma anche socialista
rivoluzionario:
“...He
moved beyond pure-and-simple black nationalism, toward black nationalism plus
“Radicalism”...This did not contradict his belief that blacks should control
their own community; it was an addition to that belief.
The
solution cannot be “summed up” as black nationalism. That means black
nationalism plus fundamental social change, plus the transformation of the
whole society.
Malcolm
was still looking for the name, but he was becoming black nationalist plus
revolutionary (...he may have hesitated to apply it to himself...because he
thought it would be an added handicap in this country)”[89] [Breitman 1992: 67/69].
Questo secondo tipo di nazionalismo auspicava la
riorganizzazione rivoluzionaria della società attraverso un cambiamento
radicale dell’economia, della struttura politica, delle leggi, del sistema di
educazione e la sostituzione dell’attuale classe dominante con un nuovo
governo, basato sulle forze che si oppongono al razzismo e si propongono di
eliminarlo.
Malcolm stava ancora riflettendo su come poter realizzare
questo progetto. La sua incertezza su come autodefinirsi si spiega perché egli stava facendo qualcosa di nuovo:
era alla ricerca di una sintesi fra nazionalismo e socialismo rivoluzionario (“He was on the way to a synthesis of black
nationalism and socialism...”).
In The last year
of Malcolm X George Breitman [Breitman 1992: 52/66] ripercorre il
tortuoso cammino che ha portato Malcolm X dalla filosofia politica del “separatismo” alla forma più matura del
“nazionalismo nero”, il “mood ebony” (Eric Lincoln), “the dominant mood of the Negro masses in the
United States today” (James Farmer)[90].
Mentre il separatismo è tendenza favorevole al ritiro dei
neri in una nazione separata, in America o in Africa, il nazionalismo non
implica alcuna presa di posizione pro o contro una possibile nazione separata.
Si può essere nazionalista nero senza essere separatista, ma non si può essere
separatista senza essere nazionalista nero.
·Nel
1963, come leader dei Black Muslim,
Malcolm considerava la completa separazione dalla “razza bianca” l’unica
soluzione possibile.
Poi, uscito dalla setta di
Elijah Muhammad, cominciò a cambiare gradualmente questa posizione iniziale.
·Nel
Marzo 1964, durante l’inaugurazione della Muslim
Mosque Inc., un movimento che non definì “separatista” ma “nazionalista”,
affermò di credere ancora che la soluzione migliore (ma non l’unica, come
diceva prima, ndr) fosse la completa separazione, ma inseriva il progetto del
“ritorno in Africa” nella categoria dei programmi a lunga scadenza (long-rage program). Prima di realizzare
questo obiettivo, c’era bisogno di un programma a breve scadenza (short-range program), lì nell’emisfero
occidentale, dove ventidue milioni di neri avevano bisogno di migliorare le
proprie condizioni.
La sua filosofia politica, economica, sociale e culturale
della Moschea musulmana sarebbe stato il nazionalismo nero:
“The political philosophy of black nationalism means that we must
control the politics and politicians of our community. They must no longer take
orders from outside forces...”[91] [Breitman 1994: 59].
·
Il 19 Marzo 1964 affermò che era preferibile usare
l’espressione “indipendenza”, al posto di “separazione”; e in nessun’altra
occasione Malcolm parlò più di “nazione separata”.
·
Il 3 Aprile 1964 dichiarò che la filosofia politica
del nazionalismo nero significava che bisognava avere il controllo della
propria comunità e nient’altro.
Si era
fatto l’errore di confondere i mezzi con i fini, i metodi con gli obiettivi; la
separazione non era lo scopo ma solo un metodo. I veri obiettivi che tutti
vogliono realizzare erano la libertà, la giustizia e l’uguaglianza; il
riconoscimento e il rispetto dei diritti umani.
·Il
12 Dicembre 1964 Malcolm disse che il tipo di migrazione che auspicava per gli
Afro-Americani era una migrazione
mentale, culturale, filosofica e psicologica verso l’Africa, ma fisicamente si
sarebbe dovuto rimanere in America a lottare per i diritti umani.
·Il
19 Gennaio 1965, alla domanda se egli credesse ancora in una nazione nera
separata, Malcolm rispose:
“I believe in a society in which people can live like human beings on
the basis of equality”[92] [ibidem: 64].
· Il 24 Gennaio si dissociò
esplicitamente dal separatismo della Nation of Islam.
·Durante
l’intervista per il “Young Socialist”
del 18 Gennaio 1965, cinque settimane prima della sua morte, alla domanda “Come
definisci il nazionalismo nero con il quale sei stato identificato?”, Malcolm
rispose:
“Prima definivo il nazionalismo nero come l’idea secondo
cui l’uomo nero dovrebbe controllare la vita economica e politica della sua
comunità... Il Maggio scorso... parlavo con l’ambasciatore d’Algeria, un vero
militante e rivoluzionario...Quando gli dissi che la mia filosofia politica e
sociale ed economica era il nazionalismo nero, mi chiese...quale sarebbe stato
il suo posto se indicavo come mio obiettivo la vittoria del nazionalismo nero,
visto che lui era bianco. E’ vero che era Africano, ma era anche Algerino e
aveva tutto l’aspetto di un uomo bianco...
Così egli mi mostrò dove mi stavo alienando dai veri rivoluzionari, dediti al rovesciamento del
sistema di sfruttamento che esiste su questo pianeta con tutti i mezzi
necessari (dedicated to overthrowing
the system of exploitation that exists on this earth by any means necessary).
Così ho dovuto ripensare a riesaminare la mia definizione
di nazionalismo nero... Se avete notato, sono alcuni mesi che non uso più
quell’espressione, ma mi troverei ancora a disagio se dovessi dare una
definizione specifica della filosofia che ritengo necessaria per la liberazione
della gente nera in questo paese” [Breitman 1992: 64-65].
Malcolm stava riesaminando la sua definizione di
nazionalismo nero. Non usava più questo termine, ma non l’aveva abbandonato;
non era ancora riuscito a trovare un’altra definizione di se stesso, del suo
movimento e dell’ideologia necessaria alla liberazione del popolo nero.
Secondo la spiegazione che suggerisce Breitman, Malcolm
era stato sempre un nazionalista e continuò ad esserlo fino alla fine. Egli si
rendeva conto che la necessità più urgente del popolo nero era la mobilitazione
e l’unificazione delle masse in un movimento indipendente, e il nazionalismo
nero era l’ideologia che permetteva e alimentava questo processo.
“... Black nationalism is a means, ... but not the only means; it is
probably an indispensable means toward the solution, but it is not the solution
itself...[93]” [ibidem: 67].
IV.8 Capitalismo e socialismo
Negli ultimi mesi di vita, Malcolm aveva assunto una
posizione inequivocabilmente anticapitalistica e filosocialista. Attraverso i
contatti che aveva stabilito con vari rivoluzionari tra cui Nelson Mandela, Fidel
Castro, Che Guevara (che mandò a Malcolm i “caldi saluti del popolo cubano),
con i socialisti algerini, del Ghana, dello Zanzibar e della Guinea e di vari
altri paesi, inclusi gli stati Uniti si accostò al socialismo.
Secondo George Breitman possiamo immaginare ipoteticamente
che, nel corso della sua ulteriore evoluzione, Malcolm sarebbe diventato
marxista [cfr. Breitman 1992: 32].
Quando gli fu chiesto, nel 1965, che tipo di sistema
politico auspicasse, Malcolm dichiarò:
“Non so. Ma sono
flessibile...Tutte le nazioni che oggi si liberano dalle spire del colonialismo
si indirizzano verso il socialismo. E non credo che sia un caso. Le maggior
parte dei paesi che erano potenze coloniali erano paesi capitalistici e
l’ultimo baluardo del capitalismo oggi è l’America, ed è impossibile per un
bianco, oggi, credere nel capitalismo e non nel razzismo. Non ci può essere
capitalismo senza razzismo... (coloro che non sono razzisti) o sono socialisti
o il loro ideale politico è il socialismo”
da un’intervista pubblicata in “Young Socialist” del 1965 [ibidem: 31].
IV.9 Questione dell’autodifesa[94]
La questione dell’autodifesa non è una parte centrale
della filosofia e del programma politico di Malcolm, tuttavia è importante
precisare cosa egli intendesse per “dovere
e diritto di autodifesa”, perché questo è stata certamente il punto più
controverso, il punto su cui la stampa americana ha concentrato i suoi attacchi
considerandolo un “invito alla violenza”.
Persino Gandhi e Martin Luther King approvavano il
principio dell’autodifesa, l’attività difensiva esplicata personalmente come
autotutela, un diritto garantito dalla Costituzione
americana; l’articolo 2 della “Dichiarazione dei Diritti” del 1791 (Bill of Rights) recita:
“Essendo necessaria alla sicurezza di uno stato libero una
ben ordinata milizia, il diritto del popolo di tenere e portare armi non potrà
essere violato” [Commager 1980: 757].
e l’articolo IV sanziona il diritto dei cittadini a godere della sicurezza per quanto riguarda la loro persona e le loro cose.
L’autodifesa era uno dei cinque punti strategici del
programma dell’OAAU (e del documento fondamentale del Black Panthers Party for
Self-Defense),
“Per poter ridurre in schiavitù un popolo e mantenerlo in
tale stato, si deve negare il suo diritto all’autodifesa... L’Organizzazione
per l’unità afro-americana... afferma il nostro dovere e diritto a difenderci
per poter sopravvivere come popolo.
Incoraggiamo tutti gli Afro-Americani a difendersi contro
gli attacchi... degli aggressori razzisti, il cui solo scopo è di negarci le
garanzie contenute nella “Carta dei Diritti dell’Uomo” delle Nazioni Unite e
nella stessa Costituzione degli Stati Uniti... Là dove il Governo... si è
rivelato incapace e/o non disposto di assicurare alla giustizia gli oppressori
razzisti... l’OAAU sostiene che la nostra gente debba assicurarsi che sia fatta
giustizia a qualunque prezzo e con tutti
i mezzi necessari”.
Come si può sperare di conquistare la libertà senza essere
decisi a difendere i propri diritti? Tuttavia l’autodifesa non era la soluzione
dei problemi dei neri. Anche quando si fossero organizzati per l’autodifesa,
essi non sarebbero stati ancora liberi, perché la diseguaglianza è radicata e
perpetuata dal sistema americano. L’autodifesa non era il fine, ma un mezzo da
usare se necessario.
“Quando i fanatici della supremazia bianca capiranno di
avere a che fare con neri pronti a dare le loro vite in difesa della vita e
della proprietà, allora...cambieranno interamente la loro strategia...”
[Valvola, Gomma, Woman 1993: 9].
Quelli che hanno ascoltato o letto i discorsi di Malcolm
sanno che egli non invitava alla violenza, ma rivendicava il diritto
costituzionale di difendersi qualora fossero stati attaccati e non fossero
stati difesi dalla polizia.
Egli si opponeva alla violenza e voleva eliminarla. Lo ha
ripetuto mille volte. Lo avrebbe potuto ripetere un milione di volte, ma i
lettori dei giornali americani avrebbero continuato a sapere che egli invitava
alla violenza. Se un bianco avesse detto “I bianchi devono difendersi quando
vengono attaccati”, ciò sarebbe stato considerato ovvio e scontato, e nessuno
si sarebbe sognato mai di accusarlo di essere un sostenitore della violenza. Ma
il fatto di incoraggiare i neri a difendersi...
“Credo nell’ira.
La Bibbia dice che c’è anche un tempo per l’ira...Non sono favorevole alla
violenza sporadica, sono per la giustizia...Quando la legge non offre
protezione ai neri dagli attacchi dei bianchi, quelli, se necessario, devono
usare le armi per difendersi...Ritengo che sia un delitto per chi è stato
trattato con brutalità continuare a subire senza far nulla per difendersi. Se è
in questo senso che si deve interpretare la filosofia cristiana, se è ciò che
insegna la filosofia di Gandhi, ebbene allora non esito a definirle filosofie
criminali...Sono favorevole alla
violenza, se non-violenza significa continuare a rimandare la soluzione del
problema dei neri americani...(e) se questo significa...una soluzione differita
che per me equivale a una non-soluzione...” [Malcolm X 1992: 427-428].
“...Lo stesso Gesù era pronto a buttare all’aria la
sinagoga quando le cose non andavano secondo giustizia...Nell’Apocalisse
troviamo Gesù a cavallo con la spada in mano, pronto a entrare in azione, ma
nessuno dice a voi e a me queste cose...Andate a leggervi tutto il libro e
troverete che, a un certo punto, anche Gesù perse la pazienza e, solo allora,
sistemò le cose. Brandì la spada...” [Giammanco 1994: 225].
IV.10
Diritti umani e diritti civili
Uno dei principali
impegni dell’OAAU era di portare il caso della sistematica violazione dei
diritti umani di ventidue milioni di Afro-Americani davanti ai tribunali delle
Nazioni Unite, dell’Organizzazione per l’Unità Africana (OAU),
che aveva dichiarato che l’Africa non sarà libera finché tutti gli Africani non
saranno liberi, e di ogni altro organismo internazionale.
In un discorso intitolato “The ballot or the bullet”, pronunciato a Cleveland il 3 Aprile
1964, Malcolm espose l’importante tema della lotta per i diritti umani:
“...E’ necessario portare la lotta per i diritti civili ad
un livello più alto: quello dei diritti umani. Finché si combatte per i diritti
civili...si resta entro i limiti giurisdizionali dello zio Sam. Nessuno che non
viva in questo paese può levare la sua voce in vostra difesa finché lottate per
ottenere diritti civili che rientrano negli affari interni degli Stati Uniti.
Tutti i nostri fratelli dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina non
possono...interferire negli affari interni di questo paese.
Ma le Nazioni Unite hanno nel loro statuto un documento
conosciuto sotto il nome di “Carta dei
diritti dell’uomo[95]”...
Vi
domanderete come mai siano state portate di fronte alle Nazioni Unite proteste
per le atrocità commesse in Africa, in Asia, nell’America latina e in Ungheria,
mentre non si sia mai pensato al “problema negro”. Anche questo fa parte della
congiura. Questo vecchio liberale dagli occhi azzurri... che dovrebbe
essere...dalla nostra parte, pronto ad aiutare la nostra lotta...non vi parla
mai dei diritti umani. Vi lascia impigliare nella rete dei diritti civili, e
voi che sciupate tanto del vostro tempo ad abbaiare all’albero dei diritti
civili non sapete neanche che lì vicini c’è un altro albero, quello dei diritti
umani.
Se si porta la lotta per i diritti civili sul piano dei
diritti umani, allora il nero americano può sollevare il suo caso di fronte
alle Nazioni Unite, può chiedere giustizia all’Assemblea Generale, e trascinare
lo zio Sam al cospetto di un tribunale mondiale...” [Giammanco 1994: 143/162].
I diritti umani, qualcosa con cui si nasce, sono stati
riconosciuti da tutte le nazioni del mondo; ma gli Stati Uniti, un paese che si
professa guida morale del mondo libero, non hanno mai sottoscritto la
“Convenzione sui Diritti Umani”; hanno aderito alla Dichiarazione ma non hanno
potuto firmarla perché, per firmarla, avrebbero dovuto farla ratificare dal
congresso e dal senato. E come
avrebbero potuto ottenere dal congresso e dal senato questa ratifica, quando
non riescono neppure ad ottenerne una sui diritti civili?
Di fronte ad un tribunale mondiale gli Stati Uniti
avrebbero dovuto spiegare perché, in un paese cosiddetto libero, i neri non
sono liberi.
All’ordine del giorno dell’Assemblea Generale sarebbero
stati i crimini commessi dal governo degli Stati Uniti: violazione sistematica
dei diritti umani, negazione dei diritti civili, genocidio, sterminio politico,
economico, sociale e mentale, razzismo, sfruttamento e congiura contro milioni
di neri.
IV.11 I successi di Malcolm al “Vertice Africano”
dell’OAU
Nel
Luglio 1964 Malcolm partecipò al “Vertice Africano” della seconda conferenza
dell’Organizzazione dell’unità africana che si sarebbe tenuto al Cairo.
Erano presenti quasi tutti i capi dei trentaquattro stati
membri; Malcolm, in veste di rappresentante dei neri americani di origine
africana, fu ammesso come osservatore in via del tutto eccezionale e gli fu
consentito di sottoporre ai delegati un memorandum[96]
di otto pagine in cui chiese il loro appoggio alla lotta dei neri negli Stati
Uniti e il loro aiuto per portare il problema davanti alle Nazioni Unite. In questo documento mise in evidenza le
condizioni in cui era tenuta la gente nera ed esortò il congresso a rendere
noto al mondo che gli Africani
consideravano come propri i problemi dei loro fratelli in America.
“... Eccellenze il governo americano non è disposto
a proteggere la vita e la proprietà degli Afro-Americani vostri fratelli...
(Questo) non è un problema negro e neppure un problema americano, ma un
problema mondiale... che tocca tutta l’umanità: non è una questione di diritti
civili ma di diritti umani... L’America è peggio del Sud Africa perché non solo
è razzista, ma ipocrita e ingannatrice... predica l’integrazione e pratica la
segregazione...
A molti di voi si è fatto credere che la legge sui
diritti civili recentemente approvata...sia un segno dello sforzo che l’America
compie per riparare alle ingiustizie... Queste manovre propagandistiche fanno
parte di tutta la politica insidiosa e ingannevole che mira ad impedire la
condanna dell’America davanti alle Nazioni Unite...” [Giammanco 1994:191].
Malcolm espresse grande soddisfazione per l’esito e i
risultati della sua partecipazione al congresso:
“La mia partecipazione... ha creato... delle
preoccupazioni alla struttura di potere in America. Infatti chi detiene il
controllo sa benissimo che se riusciamo a stabilire... accordi operativi tra
gli Africani e ventidue milioni di Afro-Americani, allora non c’è nulla che non
possiamo fare... La mia presenza era storica perché in passato nessun nero
americano aveva mai cercato di presentare i suoi problemi nel contesto dei
problemi africani... La mia venuta era un fatto nuovo, unico...” [ibidem: 195].
Malcolm dichiarò la sua soddisfazione per il Comunicato
emesso dall’Organizzazione dell’Unità Africana sulla “discriminazione razziale
negli Stati Uniti d’America”, anche se era stato formulato in termini assai
moderati.
Vi si notava con soddisfazione la recente approvazione
della legge sui diritti civili e concludeva affermando la preoccupazione di
tutti gli stati membri nei confronti della discriminazione razziale e invitando
il governo degli Stati Uniti a intensificare i suoi sforzi affinché questa
fosse del tutto eliminata.
Dopo il congresso Malcolm fece un viaggio attraverso il
continente per informare gli Africani sulle condizioni dei loro fratelli in
America.
Una testimonianza dell’impressione “fantastica” che
Malcolm suscitò in Africa la ritroviamo in un passo tratto da un rapporto
scritto da Lewis e Harris, due rappresentanti dello Student Nonviolent Coordinating Commitee che nel 1964 visitarono
molti paesi africani.
Ma l’attività di Malcolm impressionò anche gli alti
funzionari di Washington. Il 13 Agosto del 1964 apparve sul “New York Times” un dispaccio da
Washington:
“...E’ opinione diffusa tra i funzionari del Dipartimento
di Stato che gli Stati Uniti verrebbero
a trovarsi nella stessa posizione del Sud Africa, dell’Ungheria e di altri
paesi la cui politica interna è stata fatta oggetto di dibattito alle Nazioni
Unite. La questione servirebbe molto bene ai critici degli Stati Uniti,
comunisti e non, e contribuirebbe a minare la loro posizione di leader
dell’Occidente che si proclama difensore dei diritti umani...” [ibidem: 200].
Purtroppo però, nonostante molti rappresentanti delle
nazioni africane avessero promesso ufficialmente che in occasione della
prossima sessione delle Nazioni Unite avrebbero sostenuto i suoi progetti, la
proposta di Malcolm non venne inclusa nel calendario della sessione del 1964,
anche perché non ebbe alcun appoggio dalle maggiori organizzazioni americane
per i diritti civili.
Il 2 Gennaio 1965, meno di due mesi prima del suo
assassinio, Malcolm annunciò che la sua petizione
al Tribunale internazionale dell’Aia, controfirmata da vari capi si stato
africani, sarebbe stata presentata e discussa.
Tuttavia l’influenza di Malcolm alle Nazioni Unite apparve
chiara nelle violente denunce della politica razziale americana, sia in patria
sia all’estero, sollevate da diverse delegazioni africane durante il dibattito
sul Congo. Malcolm aveva infatti attaccato duramente l’intervento americano in
Congo che provocò la morte di Patrice Lumumba, il capo del Movimento Nazionale
Congolese, ricevendo il plauso unanime della stampa dei paesi non allineati e
del Terzo Mondo.
Il fatto che il Dipartimento di Stato attribuì a lui la
colpa per la decisa presa di posizione delle nazioni africane all’ONU contro
l’imperialismo e il neocolonialismo americano dimostra il suo successo.
IV.12
Internazionalizzazione della lotta degli Afro-Americani. Il colonialismo
interno
“Lo stesso uomo che ci ammazza in Congo, ci ammazza qui
nel Mississippi.” (Malcolm X)
Malcolm internazionalizzò la politica dei neri americani,
la loro lotta contro il razzismo, la segregazione, l’oppressione e proiettò il
cosiddetto “problema negro”, in una dimensione mondiale: il “problema negro”
era il problema di tutti gli uomini scuri della terra oppressi dallo stesso
uomo bianco e per risolverlo era necessaria una collaborazione fra tutte le
vittime del sistema mondiale di sfruttamento.
“Non c’è nessun problema negro, c’è il problema
della società bianca.” (Malcolm X)
Malcolm X e altri neri militanti precursori come DuBois e
Frazer usarono la categoria del “colonialismo
interno” per rappresentare questa situazione comune di razzismo e
sfruttamento “internazionalizzato”, in cui tutti i neri, sia in Africa che in
America, subiscono lo stesso trattamento: la comunità nera in America, secondo
questo modello, è una delle tante colonie, una colonia interna, sotto il
dominio statunitense; l’unica differenza tra la condizione reale degli
Afro-Americani negli Stati Uniti e la dominazione coloniale imperialista nel
Terzo Mondo era quella di dover vivere gomito a gomito con i dominatori e di
essere una minoranza senza la propria storia, la propria lingua e la propria
cultura.
Il razzismo era lo stesso, al centro e alla periferia del
dominio imperialista.
“Congo è come Mississipi. Lo stesso uomo che ci ammazza
nel Congo, ci ammazza nel Mississipi.” (Malcolm X)
In un’intervista del Gennaio 1965, un mese prima di essere
ucciso, Malcolm dichiarò:
“Le nazioni africane...collegano il razzismo del
Mississipi con quello de Congo e del Vietnam del Sud. E’ tutto razzismo; fa
tutto parte di quell’ingiusto sistema che le potenze occidentali hanno
adoperato per garantire la degradazione, lo sfruttamento e l’oppressione
condotti...ai danni di popoli dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina...Il
loro problema è lo stesso di tutti gli altri; quando i ventidue milioni di neri
americani arrivano a comprendere di essere oppressi allo stesso modo (di altri)
popoli...allora si affronta la questione come una maggioranza che è in grado di
esigere, e non come una minoranza che è costretta a chiedere l’elemosina. Non
dimentichiamoci che i popoli oppressi di questa terra sono la maggioranza!...”
[Giammanco 1994: 318-319].
L’8 Aprile 1964 Malcolm X pronunciò un discorso in cui
invitava i neri ad ampliare la propria prospettiva, creando un collegamento con
le lotte di liberazione dei popoli africani e asiatici.
Secondo Malcolm esistono due tipi di Afro-Americani: il
primo tipo, l’integrazionista, si dà molto da fare per i diritti civili e ha
una prospettiva provinciale, limitata entro i confini degli Stati Uniti
d’America. Egli si sente americano ed è un grande patriota, ma essendo l’America
in maggioranza bianca, si considera parte della minoranza nera e quindi
impotente.
Il secondo tipo di Afro-Americano, il nazionalista nero,
si preoccupa dei diritti umani e non si considera affatto un patriota
americano, ma si identifica con l’umanità di colore. Egli si rende conto che
sulla scena mondiale i gli uomini scuri sono molto numerosi e i bianchi non
sono che una minoranza microscopica.
“...Io non sono Americano. Sono uno dei ventidue milioni
di uomini dalla pelle nera che sono vittime dell’americanismo, uno dei ventidue
milioni di vittime della democrazia che non è altro che un’ipocrisia
travestita...Io vi parlo da vittima del sistema americano...e non riesco a
vedere nessun sogno americano. Quello che vedo è un incubo americano” [ibidem:
146].
Malcolm era tornato dai suoi viaggi all’estero convinto
internazionalista, dalla parte delle masse oppresse e sfruttate di tutto il
mondo contro i loro oppressori e sfruttatori, facenti capo all’imperialismo
Usa, la potenza dominante in quella che egli chiamava “la struttura di potere
internazionale”. Nessun altro al mondo denunciò con maggiore forza ed efficacia
le responsabilità americane in Congo; si identificò con le vittorie del popolo
cubano e cinese ed espresse solidarietà ai combattenti per la libertà in
Indocina.
Negli ultimi anni i “dannati della terra” si stavano svegliando, non accettavano più
l’oppressione e cominciavano a ribellarsi.
I rappresentanti delle nazioni africane, asiatiche e arabe
formavano un blocco che era quasi impossibile combattere. Fu questo blocco ad
iniziare il movimento di indipendenza tra i popoli oppressi. La prima riunione
si tenne alla Conferenza di Bandung dell’Aprile
1955 in Indonesia. Nel 1961 alla Conferenza di Belgrado venne sancita
ufficialmente la nascita del “Movimento
dei non allineati” che appoggiava tutti le lotte per la liberazione e
l’indipendenza e mirava alla riforma dell’ordine economico internazionale.
“A livello internazionale le nazioni africane dispongono
del maggior numero di rappresentanti...di qualsiasi altro continente, saremmo
davvero dei pazzi se non ci identificassimo con quel blocco di potere... I
rappresentanti delle nazioni africane, insieme con gli asiatici e gli arabi,
formano un blocco che è quasi impossibile combattere. Fu questo blocco ad
iniziare il movimento di indipendenza fra i popoli oppressi di tutto il mondo.
La prima riunione delle nazioni che compongono quel blocco fu alla Conferenza di Bandung...” [ibidem:
229].
“Oggi, il 1964, qualsiasi esplosione razziale che si
verifichi in America non può più restar confinata entro questo paese, ma è
probabile che diventi la miccia che fa saltare tutta la polveriera...A
centinaia di migliaia, oggi, i nostri fratelli hanno perso la pazienza, voltano
le spalle al vostro nazionalismo bianco, che voi chiamate democrazia, per
seguire la politica combattiva e contraria ad ogni compromesso del nazionalismo
nero...Il 1964 segnerà un’evoluzione della rivolta negra che gradualmente
entrerà a far parte della rivoluzione nera mondiale cominciata intorno al
1945...
Le rivoluzioni rovesciano i sistemi e non esiste su questa
terra sistema più corrotto, più criminale di questo che ancora oggi...tiene in
una condizione coloniale...ventidue milioni di Afro-Americani.
Non esiste sistema più corrotto di questo che si atteggia
a esempio di libertà e democrazia, si presenta a tutti gli altri popoli con la
pretesa di imporre la loro forma di governo, quando poi in questo paese ci sono
dei cittadini che per potersi servire della scheda (elettorale) sono costretti a
usare il fucile...
Può darsi che questo sia il primo paese della terra in cui
potrebbe verificarsi una rivoluzione senza spargimento di sangue..senza
violenza, una rivoluzione incruenta,
ma non è moralmente preparata per fare una cosa simile...L’unico modo in cui
ciò può essere raggiunto senza spargimento di sangue è di dare al nero pieno
diritto di voto; ma se il nero non potrà servirsi della scheda, allora vi
troverete di fronte a un altro uomo, a uno che...comincia a servirsi del
fucile...” [Giammarco 1994: 163/174].
IV.13 “La scheda o il fucile”
(“The ballot or the bullet [97]”)
“Il prezzo della libertà è la morte” (Malcolm X).
Il Presidente del Ghana Nkrumah diceva “Cercate prima di
tutto il regno politico e si sommerà tutto il resto...La politica è potere, è
la scienza di come governare”.
Come Nkrumah, Malcolm voleva insegnare alla sua gente che
l’unico potere reale che in America sia riconosciuto e rispettato è il potere
politico, che si ottiene attraverso il voto[98].
“...E’ tempo di diventare più maturi politicamente e di
capire a che cosa serve la scheda, di capire che cosa abbiamo diritto di
ottenere quando esprimiamo il nostro voto...Se non votiamo (così), finiremo col
trovarci di fronte a una situazione in cui non ci sarà altra alternativa che la
lotta armata...O la libertà o la morte...(ma questa volta la morte) sarà
reciproca...” [Giammanco 1995: 149].
In molti stati americani i neri rappresentavano la
maggioranza o un’altissima percentuale numerica e ciò significava che usando il
voto in modo corretto il potere sarebbe andato legalmente nelle loro mani.
Per questo l’OAAU stava
organizzando ad Harlem una campagna per la registrazione degli elettori neri.
Essi non si dovevano registrare ne come democratici ne come repubblicani, ma
come indipendenti a favore di chiunque fosse dalla loro parte; non
avrebbero dovuto affiliarsi a nessun partito, almeno fino a che non fosse
chiaro quale vantaggio concreto ciò avrebbe rappresentato per l’intera
comunità.
“Una persona può registrarsi come indipendente e poi votare
come vuole. Non sto parlando di un partito indipendente”[Valvola, Gomma e
Woman, 1993: 100].
La partecipazione al voto, e non alle marce non violente,
era l’ultimo tentativo pacifico per cambiare le leggi e il sistema americano;
ma se anche questo non avesse funzionato, se questo non avesse funzionato: la
violenza; o il voto o il fucile, libertà o morte, ma questa volta la morte del
nero non sarebbe stata l’unica, avrebbe portato con sé anche la morte del
bianco.
Per Malcolm, il 1964, anno delle nuove elezioni politiche,
era l’anno in cui si doveva scegliere tra la scheda o il fucile. “Se io dovessi
morire domattina, sappiate che sono morto dicendo questo: o la scheda o il
fucile”.
“Saremo costretti a servirci o della scheda o delle
pallottole...Il 1964 minaccia di essere l’anno più esplosivo che l’America
abbia mai visto... (Perché) è anche un anno politico, è l’anno in cui tutti i
politicanti bianchi torneranno nelle comunità negre a far la corte a voi... per
farsi dare qualche voto...Tutte le volte che ci sono le elezioni capita che i
risultati siano quasi uguali da obbligare ad un secondo conteggio delle schede.
Cosa vuol dire ciò? Che quando i bianchi sono divisi in due gruppi quasi della
stessa forza e i neri dispongono di un blocco di voti, spetta a loro decidere
chi andrà alla Casa Bianca...” [Giammanco 1994:143-144].
Malcolm voleva insegnare ad usare i voti dei neri
nell’interesse dei neri: Alle precedenti elezioni politiche il loro voto era
servito a eleggere i democratici, che avevano promesso di far passare la legge
per i diritti civili, ma poi, attraverso abili
“giochetti politici”, come l’ostruzionismo parlamentare (il filibustering e il gerrymandering), erano stati al potere per quattro anni senza far
nulla per loro.
“...I liberal bianchi sono delle volpi che ci mostrano...i
denti facendo finta di sorriderci. Sono più pericolosi dei conservatori perché
attirano il negro il quale, per scappare al lupo cattivo, finisce in bocca alla
volpe sorridente...” [ibidem: 35].
“L’unico modo per farti correre volontariamente verso la
volpe è di mostrarti il lupo” (Malcolm X).
Malcolm fu un inflessibile nemico di Washington e dei
partiti, sia quello democratico che quello repubblicano. Essi erano entrambi
nemici del popolo nero e non meritavano il minimo appoggio. Paradossalmente
considerava i repubblicani come B. Goldwater meno pericolosi degli ipocriti
democratici come L.B. Johnson, perché almeno i primi dichiaravano apertamente
la loro ostilità ai “Niggers”, mentre
gli altri usavano il problema razziale come strumento per guadagnare i voti dei
neri.
L’unica organizzazione che condivideva e appoggiava le
idee di Malcolm era il Socialist Workers Party (SWP) di
orientamento trotskista, la sezione statunitense del “Movimento per la Quarta
Internazionale” (George Breitman nel 1938 fu tra i fondatori del SWP)
Nel 1964 Malcolm prese in considerazione l’offerta dei
leaders del Michigan di presentarsi come candidato alle elezioni per il Senato
degli Stati Uniti nella lista del Freedom
Now Party, ma fu costretto a declinare l’offerta a causa dei suoi
impegni in Africa. L’FNP, fondato nel 1963, fu lo sforzo pioneristico di creare
un partito politico nero su scala nazionale
CAPITOLO V
CONCLUSIONE
“He was
a dedicated patriot: DIGNITY was his country, MANHOOD was his government and
FREEDOM was his land”.
John
Oliver Killens
L’assassinio
di Malcolm X. La “Domenica nera della Audubon Hall”
Il 21 Febbraio 1965, durante una riunione dell’OAAU alla
Audubon Ballroom di Harlem, Malcolm X fu ucciso con sedici pallottole di fucile
di fronte a cinquecento persone.
L’autobiografia di Bobby Seale, uno dei fondatori del Black Panther Party for Self-Defense,
comincia proprio con il ricordo del giorno in cui Malcolm fu assassinato:
“Quando
Malcolm X fu assassinato, nel 1965, mi precipitai in strada...Ogni volta che
vedevo passare un poliziotto in macchina raccoglievo un mezzo mattone e lo
tiravo...Piansi disperatamente...Ero fuori di me...Ero pronto a morire, quel
giorno...Eldridge dice che tutti subirono l’influenza di Malcolm X, e anch’io
subii la sua influenza” [Seale 1971: 15].
Malcolm era alla ricerca di una sintesi tra nazionalismo nero e socialismo rivoluzionario, ma non poté portare a termine questo progetto perché fu assassinato. Resta agli altri i compito di ripartire da dove Malcolm ha lasciato e completare l’opera che egli aveva iniziato.
Come ha detto Frank Lovell al raduno commemorativo della Afro-American Broadcasting Co.,
“E’ stato un grave colpo per il popolo nero e
per tutti gli americani bianchi che vogliono abbattere il sistema che genera il
razzismo.
Uomini come Malcolm non nascono spesso, né in gran numero. I nemici del progresso umano beneficiano della sua morte; coloro che per il progresso umano si battono ne sono indeboliti e danneggiati.
Ma un pur grave colpo non può annientare la lotta...Il sistema capitalistico non genera solo razzismo, ma anche ribelli al razzismo, soprattutto fra i giovani”.
Le tre tesi principali che secondo Giammanco si sono venute configurando sulla responsabilità della morte di Malcolm X sono:
“The die is set
and Malcolm shall not escape, especially after such evil, foolish talk about
his benefactor. Such a
man as Malcolm is worthy of death.”
Orazione funebre di Ossie Davis
“Qui in questo estremo momento...Harlem è venuta a dire addio a una delle sue più fulgide speranze, che è stata stroncata e tolta a noi per sempre.
Mai a memoria d’uomo questa comunità bisfrattata, sfortunata, oppressa, e pur tuttavia fiera, ha trovato un giovane campione più coraggioso e leale di questo Afro-Americano che giace dinnanzi a noi ancora invitto. Ripeto di nuovo quella parola come lui avrebbe voluto che facessi: Afro-Americano. L’Afro-Americano Malcolm. Malcolm non era più un nero da molti anni. Era diventata una parola troppo riduttiva, senza significato, troppo debole per lui. Malcolm era più grande. Malcolm era divenuto un Afro-Americano e desiderava disperatamente che noi, tutta la sua gente, diventassimo anche noi Afro-Americani....
Molti chiederanno forse cos’è che Harlem trova degno di tanto onore in questo audace e tanto discusso giovane comandante...Essi diranno che lui è l’odio, un fanatico, un razzista che può solo nuocere alla causa per la quale combattete.
E noi risponderemo a quei signori dicendo: “Avete mai
parlato con fratello Malcolm?...Lo avete mai ascoltato veramente?...Potreste
mai affermare che è stato coinvolto in disordini o in azioni violente? Perché,
se così fosse, lo conoscereste e conoscendolo capireste perché dobbiamo
tributargli i più alti onori. Dobbiamo rendergli onore. Malcolm era il nostro
essere uomini, la nostra vita, il nostro essere neri! Questo era ciò che egli
significava per il suo popolo, e quando onoriamo lui, non facciamo altro che
onorare la parte migliore di noi stessi.
Che la sua tragica e prematura dipartita serva unicamente
a unirci adesso, nel consegnare queste spoglie mortali alla terra, madre comune
di tutti, nella certezza che ciò che stiamo affidando alla terra non è più un
uomo ormai, ma un seme, che dopo l’inverno di questo nostro presente, spunterà
di nuovo per incontrarci e allora lo conosceremo per quello che è stato ed è:
un Principe, il nostro luminoso Principe Nero, che non ha esitato a morire
perché ci amava fino a tal punto” [dal film Malcolm X di Spike Lee].
“Negli anni Novanta,... un gran numero di giovani e di
lavoratori, come mai prima d’ora, e non solo negli stati Uniti, ma tra i
combattenti che hanno una mentalità rivoluzionaria in giro per il mondo, vuole
leggere ciò che Malcolm aveva da dire. Nei suoi discorsi essi trovano onestà
incorruttibile e integrità rivoluzionaria, trovano fierezza e identificazione
con tutto ciò che ripudiano...; trovano una rivendicazione potente del loro
orgoglio, dignità e capacità, come esseri umani, di pensare per se stessi e di
agire politicamente in modo collettivo. Trovano delle verità schiette su un
sistema economico e sociale che promette solo: più guerre, brutalità della
polizia, violenza razzista, oppressione nazionale, devastazione economica e
distruzione dei significati della vita umana e della cultura che noi
condividiamo su questo pianeta” Steve Clark, 1992
[Valvola,
Gomma, Woman 1993: VII].
[1] “The Hate That Hate Produced”, “L’odio che ha prodotto l’odio”, era il titolo della trasmissione televisiva che per prima (1959) presentò al pubblico Malcolm X, come portavoce delle idee della setta della “Nation of Islam”. L’intenzione dei produttori era che alla fine del programma il pubblico restasse allibito; si voleva creare un’immagine dei “Black Muslim” come propagandisti di odio; infatti, se il titolo faceva riferimento all’odio dei bianchi verso i neri, alla fine, ciò che era emerso, come ci si poteva aspettare, era soprattutto l’odio dei neri verso i bianchi.
[2]Termine dispregiativo usato per chiamare gli Afro-Americani.
[3] “Wasp” è l’abbreviazione di White-Anglo-Saxon-Protestant.
[4] Il governo americano.
[5] Cfr. cap. IV: Malcolm X voleva internazionalizzare il cosiddetto “problema negro”.
[6] “Non è corretto classificare la rivolta del Negro semplicemente come un conflitto razziale del nero contro il bianco, o come un problema puramente americano. Piuttosto, oggi siamo di fronte ad una ribellione dell’oppresso contro l’oppressore, dello sfruttato contro lo sfruttatore.”
[7]Cfr. Higginbotham jr., In the Matter of Color, Oxford
University Press, New York, 1978 e Ringer B. We the People...and Others, Methuen, New York and London,
1982.
Nella sterminata letteratura sulla “questione negra negli Stati Uniti”, il primo lavoro non si limita a mettere a confronto le promesse istituzionali di eguaglianza con la pratica quotidiana, ma ricerca nel cuore stesso del sistema legale Usa le ragioni profonde dell’ingiustizia sociale e della creazione di una “società duale”.
[8] Gunnar Myrdal, An American Dilemma. The Negro Problem and Modern Democracy,
Pantheon, New York, 1944.
[9] Il “credo americano”, che deriva dai principi nazionali e cristiani profondamente radicati nella coscienza americana, consiste negli ideali della dignità essenziale di ogni essere umano (compresi i cosiddetti “negri”...), della fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini e di alcuni inalienabili diritti che sono contenuti nel “Bill of Rights”, il preambolo della Costituzione americana [cfr. Madge 1966: 327].
[10] Era lo slogan di una pubblicità della Lloyds Bank, che invitava alla formazione di capitale fittizio.
[11] Frederick Douglass, nato in schiavitù, dopo essere fuggito, imparò a leggere e a scrivere e divenne un attivo antischiavista.
[12] Cfr. il paragrafo sul “colonialismo interno” in Malcolm X, capitolo IV.
[13] Antonio Gramsci, nell’opera Gli intellettuali e l’organizzazione della cultura (Giulio Einaudi, Torino, 1973) distingue due tipi di intellettuali: gli “intellettuali organici”, i quali pensano le idee della classe sociale che li ha generati, e gli “intellettuali tradizionali”, che si distaccano dalla struttura economica e si considerano autonomi e indipendenti [Gramsci 1973: 5].
[14] Karl Mannheim, nell’opera Ideologia e Utopia (Il Mulino, Bologna, 1957), affronta la questione sociologica dell’“intelligentsia socialmente indipendente”: gli intellettuali migliori, costituendo il ceto meno coinvolto nella sfera degli interessi materiali, riescono a fare la sintesi dinamica delle diverse prospettive particolari e ad accogliere in sé tutti i fermenti della società. Essi sviluppano una sensibilità per ogni forza in lotta e riescono a tutelare gli interessi di tutta l’umanità [Mannheim 1957: 163/171].
[15] Cfr. il paragrafo sul “Nazionalismo nero rivoluzionario” in Malcolm X, cap. IV, pag.??? e la concezione del nazionalismo nero per il BPP.
[16] Se la loro presenza non fosse così centrale e utile al sistema americano, sicuramente sarebbero stati già rispediti in Africa, naturalmente presentando questo atto al mondo intero come una generosa opera umanitaria, oppure l’America avrebbe assecondato, appoggiato e finanzianto il “Back to Africa Movement”, che era nato spontaneamente.
[17] D M D1 è la formula classica attraverso cui si rappresenta il processo di sfruttamento dei lavoratori e formazione del profitto. D simbolizza il capitale di partenza con il quale il capitalista acquista la forza-lavoro dall’operaio. M rappresenta è la merce, cioè la forza-lavoro acquistata. D1 simbolizza il plus-valore, come si chiama il profitto derivante dalla parte di lavoro che non viene pagato all’operaio. Questo processo continua e diventa D1 M1 D2, e così via...
[18] Termine che indica in senso dispregiativo ciò che è tipicamente americano.
[19] Ku Klux Klan è il nome di due società segrete degli Stati Uniti.
La prima, fondata nel 1865 dal generale N.B. Forest, sostenne con la violenza e con mezzi illegali la difesa dei diritti degli anglosassoni contro l’orientamento antirazzista del governo nel periodo della “ricostruzione”, ostacolando in ogni modo la partecipazione dei neri alla vita pubblica.
La seconda, fondata nel 1915 da W. Simmons si ispirò alle stesse tendenze nazionalistiche, lottando ferocemente, oltre che contro i “niggers”, anche contro gli emigrati europei, in particolare contro cattolici ed ebrei.
Declinata dopo il 1928, riprese la sua attività durante l’amministrazione Kennedy ed è tuttora attiva.
Per ascoltare puro odio razzista, basta chiamare il numero: 001-404-9673479, la linea telefonica del Ku Klux Klan negli Stati Uniti.
Il White Citizen’s Council era considerata tra le più razziste organizzazioni di destra; il suo obiettivo principale era di opporsi il più ferocemente possibile all’integrazione razziale.
[20] Nell’introduzione dell’antologia Gli studenti americani dopo Berkeley, Einaudi, Torino 1969, Martinelli e Cavalli spiegano le cause strutturali della protesta giovanile degli anni Sessanta che spesso coincidono con quelle del movimento nero.
[21] Nell’Ottobre 1969 Schultz, segretario del Lavoro nell’amministrazione Nixon, impose la “quota” nelle assunzioni di apprendisti neri in certe industrie federali; da cui si passò all’”equilibrio razziale”.
[22] Per conoscere tutto ciò che è successo in America dopo la morte di Malcolm X, si consiglia la lettura di Cartosio Bruno, Senza illusioni. I neri negli Stati Uniti dagli anni Sessanta alla rivolta di Los Angeles, Shake, Milano, 1995.
[23] Nel Sud degli Stati Uniti alcune chiese appendevano a fianco dell’entrata un pettine a denti fini. L’ingresso era vietato a chi non riusciva a farsi passare il pettine fra i capelli, e questo manteneva lontana la maggioranza dei cosiddetti “negri”.
[24] Cfr. Martinelli e Cavalli 1971: 32/37.
[25] Gli integrazionisti, che si davano tanto da fare per essere integrati nella società americana, erano chiamati da Malcolm X e dai membri della Nazione dell’Islam con il soprannome dispregiativo “Zio Tom”, dal nome del protagonista del celebre romanzo di Harriet Beecher-Stowe La capanna dello zio Tom (1851). Lo “zio Tom” era diventato il simbolo del “negro di casa” (house-nigger), degno di compassione, ma rassegnato, animato da sentimenti patriottici, schiavizzato e ubbidiente. Malcolm X si scagliava sempre contro questi neri imborghesiti, moderna versione dello zio Tom, perché li considerava dei “professionisti negri”, cioè la loro professione era di essere “negri” al servizio dei bianchi.
[26] Nel 1947, Mohanda K.Gandhi, insieme a Nehru, portò l’India all’indipendenza, senza che gli Indiani usassero la violenza. Con una serie di campagne di disobbedienza civile e propagandando e attuando nuove forme di lotta basate sulla resistenza passiva, sulla non-violenza (ahimsa), sul rifiuto di qualsiasi collaborazione con i dominatori, con il boicottaggio delle istituzioni inglesi e coniugando la battaglia per l’indipendenza con quella per la rottura del sistema delle caste, Gandhi fece del Nazionalismo indiano un movimento di massa al quale gli Inglesi risposero dapprima con delle concessioni legislative, poi, un poco alla volta, si arrivò pacificamente alla piena indipendenza.
Gandhi fu ucciso nel 1948 a New Delhi da un fanatico indù.
[27] L’“Amore” della filosofia cristiana si deve intendere in questo senso nella accezione del termine greco agape, che significa “buona volontà intelligente, creativa e redentrice”: dobbiamo amare tutti gli esseri umani, odiando l’ingiustizia e non gli ingiusti, odiando l’odio e non chi odia.
[28] L “Autodifesa” è l’attività
difensiva esplicata personalmente come autotutela. E’ interessante confrontare
il concetto dell’autodifesa di Martin Luther King con quello elaborato da
Malcolm X (capitolo IV) e dal Black
Panther Party for Self-Defense (capitolo II).
[29] “Io ho un sogno” (p.99/103) in Martin Luther King, Io ho un sogno. Scritti e discorsi che hanno cambiato il mondo, Società Editrice Internazionale, orino, 1993.
[30] Cfr. Cartosio, Gambino, Naso e altri 1994: 29 e seg.
[31] Ogni personaggio del film ha una sua “cosa giusta da fare”, anche se alla fine del “giorno più caldo dell’anno” (nel senso dell’estate calda), Spike Lee sceglie la rivolta collettiva come la cosa più giusta da fare nell’America attuale, dove il reaganismo ha dilatato tutte le distanze e il razzismo è sempre più un problema irrisolto ed esplosivo.
[32] La lunga lotta di Robert Williams è documentata nel libro Negroes With Guns. Fu accusato del sequestro di un bambino e a causa di ciò fu costretto a fuggire a Cuba e successivamente in Cina.
[33] Cfr. Giammanco 1993: 113/120.
[34] Le idee di Marcus Garvey hanno avuto una grande influenza sul Movimento Rastafari giamaicano. Anche per i Rasta l’Etiopia è la Terra Promessa, la terra madre che un giorno accoglierà la gente di Jah.
Il re di Etiopia Hailé Selassié è venerato nel culto dei Rasta come la personificazione di Dio, chiamato Jah Ras Tafari.
Bob Marley, mitico cantante di Raggae, negli anni Settanta diffuse in tutto il mondo questa ideologia con canzoni di protesta e di redenzione che parlavano della sofferenza dei poveri e degli oppressi dal sistema dei bianchi, Babilonia.
[35] Il padre e la madre di Malcolm X erano membri dell’UNIA e seguaci di Marcus Garvey. Earl Little, libero predicatore battista, attivista coraggioso e tenace, aveva pagato con la vita il suo impegno nel reclutare i neri “beyond the traks”, al di là delle rotaie che delimitavano i quartieri neri segregati.
[36] La “Nazione Etiope”, secondo Garvey e la religione Rastafari giamaicana, discendeva dall’antico e nobile regno della Regina di Saba e dal trono di Giuda.
[37]Iniziò così una lunga disputa tra DuBois e Garvey che lo chiamò “sciagurato mulatto, cosiddetto professore di Harvard e Berlino, “hater of dark people”.
[38] Elijah Muhammad usava questa espressione, perché, secondo lui, solo il cinque per cento della popolazione nera, e cioè i membri della setta, aveva una vera consapevolezza del ruolo dei neri nella storia.
[39] In Unity & Leadership (1992) Mohammed Imam W. Al-Islam (Wallace Deen Muhammad) parla dell’Islam negli Stati Uniti e afferma che i musulmani non sono e non possono essere razzisti.
[40] Oggi Farrakhan vive in una
ricchissima villa bunker nell’esclusivo quartiere di Hyde Park a Chicago con la
moglie Khadijah e nove figli. Raccomanda ai suoi fedeli di comprare i prodotti
cosmetici “Clenn’ Fresh”, messi sul
mercato da commercianti musulmani.
[41] Nell’intervista della CNN del 12 Ottobre 1995, Farrakhan ha spiegato che le donne non erano state invitate alla marcia per via dei possibili rischi di violenza. Ma donne combattive come la mitica Angela Davis non accettano questo tipo di giustificazioni.
[42] Testi su Farrakhan: Gardell
Mattias, Countdown to Armageddon:
Louis Farrakhan and the Nation of Islam, C. Hurst & Co., UK,
1996 (contiene i discorsi e I sermoni).
Marshall C.Alan, The life and Times of Louis Farrakhan, Marshall Pub., Usa,
1994.
Magida Arthur, J. Prophet of Rage: a life of Louis Farrakhan and his Nation,
Harpercollins, Usa, 1996.
[43] Il regista nero Mario Van Peebles, già autore di New Jack City, nel 1994 ha girato Panther, il primo film che racconta la storia delle Pantere Nere.
[44]Bobby Seale, Cogliere l’occasione. La storia del Black Panther Party e di Huey P. Newton, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1971.
[45] La polizia usava espressioni offensive, tipiche del Sud razzista: nigger, boy, spade, coon, rastus, jungle bunny, ape, head hunter, ecc. Una canzone del mitico musical di Broadway “Hair”, “Colored Spade”, elenca tutte le offese e i soprannomi con cui venivano chiamati i neri.
[46]Stokely Carmichael è autore del libro Strategia del potere nero, Laterza, Bari, 1968. Nel ‘68, quando le Pantere Nere si divisero tra Africans e Americans, tra radicali e moderati, egli andò a vivere in Africa, continuando la rivoluzione prima in Ghana, a fianco di Kwame Nkrumah, e poi in Guinea con Sekou Tourè. Oggi vive a Conakry e si fa chiamare Kwame Tourè.
[47]Col sangue agli occhi. Il “fascismo americano” e altri scritti, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1972.
[48] I fratelli di Soledad, Einaudi, Torino, 1971.
[49] Angela Davis, Autobiografia di una rivoluzionaria, Garzanti, Milano, 1975.
[50] Recentemente Mumia Abu Jamal ha pubblicato un libro sulla vita nelle
carceri, La voce dei senza voce.
[51] ”Islam” in arabo significa “abbandono incondizionato”.
[52] La prima scritta in arabo è la Basmala, la formula che apre tutte le sure, e significa: “In nome di Allah il Compassionevole, il Misericordioso” (pron.:“Bi-smi’llàhi ar-Rahmàn ar-Rahìm”).
La seconda
scritta é il primo “pilastro” dell’Islam, la professione di fede nell’unicità
di Allah: “Non c’è Dio all’infuori di Allah e Muhammad é l’ultimo messaggero di
Allah” (pron.: La ilàha illallàh Mohamed
rasùl Allàh).
[53] Associazione razzista del nord degli Stati Uniti legata al Ku Klux Klan.
[54] Malcolm era uno tra gli studenti più intelligenti e bravi della sua scuola, ma quando confidò al suo insegnante di voler diventare un avvocato, questo gli consigliò di essere realista e di cominciare a pensare ad un lavoro che fosse adatto ad un “nigger”.
[55] Shoeshine boy, soda jerk, hostel busboy, member of a dining car crew
on trains, waiter in a nightclub and drug-pusher.
[56] Sul significato sociologico del ghetto: Louis Wirth, Il ghetto, Edizioni di Comunità, Milano, 1968.
[57]Come molti altri ragazzi, anche Malcolm aveva un’immagine “romantica” del ghetto. Per questi giovani, ancor oggi, è meglio essere come i trafficanti, con le tasche piene di quattrini, senza rispetto per niente e per nessuno, che cercare di darsi da fare con un lavoro onesto in una società che li considererà sempre “niggers”.
[58] Nonostante portasse sempre con
sé una pistola, che molte volte fu sul punto di usare, Malcolm non arrivò mai
ad uccidere qualcuno.
[59] Malcolm X cercò di contrastare l’uso di questa espressione, perché essi erano musulmani e non musulmani neri. I membri della setta vennero chiamati impropriamente “Black Muslim” a causa del titolo della tesi di dottorato di uno studioso nero, Eric C. Lincoln, The Black Muslim in America (Eerdmans, William B., Publishing Company, 1994) che divenne poi una lettura obbligatoria in numerosi corsi universitari.
[60] Elijah Muhammad insegnava che il maiale era un grosso roditore, un ibrido fra un topo, un cane e un gatto. Nel Corano il maiale è esplicitamente considerato un animale impuro. I teologi spiegano queste divieti alimentari con delle ragioni naturali o pratiche.
[61] I canoni di bellezza sono stabiliti dai mass-media del “primo mondo”. Ancora oggi esistono numerose strategie per cambiare “razza”. “Non hai i capelli biondi, gli occhi azzurri e la pelle bianca? Nessun problema. Basta sottoporsi ad alcune semplici procedure.”
Ogni anno, ad esempio, decine di migliaia di Giapponesi si fanno arrotondare gli occhi sul modello europeo per US $1.500. In molti paesi africani si cerca di schiarirsi la pelle usando creme e saponi sbiancanti a base di idrichinone o mercurio. Questi prodotti che promettono una pelle chiara come la neve, in realtà bruciano e distruggono i tessuti. John Howard Griffin, un bianco, si fece scurire la pelle chimicamente e si finse nero, perchè voleva sapere cosa significasse realmente essere un nero nel sud degli Stati Uniti. Nel 1960 pubblicò un libro Black like me, (che ha venduto cinque milioni di copie in tutto il mondo) in cui raccontava questa esperienza: “Quando ho deciso di diventare nero, mi sono reso conto che io, esperto di questioni razziali, non sapevo niente dei veri problemi dei neri in America.”
A questo proposito Cornell West parla di necessità di “conversione psichica, di decolonizzazione della mente, del corpo e dell’anima”, la necessità di rifiutare che si misuri l’umanità di qualcuno in base agli standard della supremazia bianca. “Michael Jackson può giustamente sperare di essere visto come una persona, anziché come un colore...ma le sue trasformazioni facciali rivelano una misurazione di sé in base agli standard dei bianchi...egli vede ancora se stesso attraverso le lenti estetiche che svalutano alcune delle sue caratteristiche africane” [Wood 1992: 49-50].
[62] “El-Hajj” in arabo significa: “colui che ha fatto il pellegrinaggio”, “Màlik” significa “signore” o “re” e “Shabazz” era il nome di una tribù africana particolarmente forte e saggia, da cui si dice discendano gli Afro-Americani.
[63] Dal 1985 è in scena l’opera teatrale di Anthony Davis X, che racconta la vita dell’ormai leggendario Malcolm e descrive il crescente conflitto tra lui ed Elijah Muhammad, che culminò nella “scomunica” finale. Dall’articolo intitolato “Opera about Malcolm X opens this fall” [“Chicago Tribune” 5 Settembre 1985]. Un’altra opera su Malcolm, When the Chickens Came Home to Roost di Laurence Holder, è un “historical docu-drama” che si svolge nel quartier generale della Nazione dell’Islam durante il dialogo che segnò la rottura tra i due antagonisti, Malcolm ed Elijah Muhammad. In quel momento emerge lo studio di grande effetto teatrale di due caratteri in contrasto l’uno con l’altro: Malcolm è giovane, idealista, entusiasta e onesto, mentre Muhammad è cinico e disonesto, teso solo a mantenere inalterato il suo potere all’interno della setta [“The New York Times” 15 Luglio 1981.
[64] (Traduzione libera mia) Un caso di “chi la fa l’aspetti” o di “polli che tornano a casa ad appollaiarsi” ed “essendo un vecchio ragazzo di fattoria io stesso, i polli che tornano a casa ad appollaiarsi non mi hanno mai fatto rattristare, mi hanno sempre fatto contento.”
[65] Vedi anche L. Gallino, voci “Personalità” e “Cultura e Personalità”, in Dizionario di Sociologia, UTET, Torino, 1978.
[66] Hans Mol sottolinea la parte che i rituali religiosi svolgono nel definire l'identità personale e nel rinforzare l'identità sociale.
[67] Wit over Zwart (Bianco su nero) di Jan Nederveen Pieterse analizza gli stereotipi classici dei bianchi nei confronti dei “negri”.
[68] Cfr. con ciò che è scritto in Appendice 2 nel “Programma unitario di base” dell’Organizzazione per l’Unità Afro-Americana (pp. 210/212) a proposito del termine “negro”.
[69]Eugene Gordon propose nel 1928
che “un’apposita commissione studiasse i principi di tutte le religioni per
vedere quali si adattano meglio alla situazione degli Afro-Americani...”:
dall’Islam avrebbero potuto imparare la militanza, dal Confucianesimo
l’abolizione della paura e la rinuncia all’idea di un’altra vita, dal Giudaismo
il principio della giusta rappresaglia e così via.
[70] Per Essien Udom E. U. il vero nemico dei Black Muslim non era il bianco ma il “negro imborghesito”. Essi lottavano su un duplice fronte: contro i bianchi oppressori e, cosa che soscitò ancora più ostilità, contro la borghesia nera (middle e upper class) che cominciava a condividere certi privilegi fino ad allora esclusivi dei bianchi. La lotta di classe era la reazione del proletariato nero doppiamente frustrato: perché nero e perché povero. Per questo, secondo Lanternari, i Black Muslim, assunsero una posizione unica, di rottura radicale con tutta la società dei bianchi [cfr. Lanternari Occidente e Terzo Mondo].
[71] “Non considerare morti quelli che sono stati uccisi sul sentiero di Allah. Sono vivi invece e ben provvisti dal loro Signore, lieti di quello che Allah, per Sua grazia, concede” [Qur’an III, 169-170].
E’ bene sottolineare che “Al-Jihàd”, la guerra santa dichiarata in nome di Allah contro gli oppressori e i nemici dell’Isalm si invoca ogni volta che l’esistenza, la pace e la sicurezza della comunità vengono minacciate; i musulmani hanno allora il diritto-dovere alla legittima difesa. La guerra ha solo carattere difensivo e deve essere condotta senza crudeltà.
“Al-Jihàd”, che può essere condotto anche in modo non violento, non è, esplicitamente, un principio fondamentale dell’Islam, tuttavia è un dovere di ogni musulmano difendere l’Islam anche con la morte. Allah garantisce il Paradiso ai mujahidin che muoiono per difendere l’Islam [Il Corano 1996:582-583].
I musulmani distinguono due tipi di gihad: il grande “jihad”, la guerra contro il nemico interno, le debolezze dell'animo e i costumi deplorevoli, e il “piccolo jihad”, la guerra contro il nemico esterno, contro l’empio e l’infedele.
[72] Ne sono esempio l’obbligo del pellegrinaggio alla Mecca, Hajj, il cui significato essenziale è che tutti i fedeli, giunti da ogni parte del mondo, sono fratelli e uguali di fronte ad Allah; e l’elemosina legale, zakat, quinto pilastro fondamentale dell’Islam, che sottolinea l’uguaglianza tra gli uomini.
[73] In questo tipo di analisi non si prendono in considerazione le esperienze rivoluzionarie come quelle del primo Cristianesimo o della Teologia della Liberazione.
[74] Interessante a questo proposito la ricerca sulla corruzione del Vaticano di David Yallop, In God’s name, tradotto in italiano con il titolo In nome di Dio, Pironti, Salerno, 1992. La religione cattolica è la più diffusa, ricca e politicizzata del mondo e i valori religiosi del cristianesimo originario sono diventati irrilevanti per quel grande complesso cultural-industriale noto come Chiesa Cattolica. Ci sono notizie secondo cui le ricchezze della Chiesa ammontano a 2.000.000.000 di dollari, senza contare i beni immobili e i tesori artistici.
[75] “Malati mentalmente, spiritualmente, economicamente e politicamente”.
Queste erano le deviazioni del “negro” americano, che Malcolm X denunciava poco
prima di fondare la Muslim Mosque Inc .
[76] “Normalmente il razzismo nero è stato prodotto da quello bianco e, nella
maggior parte dei casi, è la reazione al razzismo bianco...non c’è un vero e
proprio razzismo nero...” [Giammanco 1994: 298].
[77] L’espressione “zio Tom” deriva dal nome del protagonista del romanzo di Harriet Beecher Stowe, La capanna dello zio Tom (1851).
“I figli di Noè che uscirono dall’arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra. Ora Noè...avendo bevuto il vino si ubriacò e giacque scoperto all’interno della sua tenda. Cam...vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia indietro, non videro il padre scoperto. Quando Noè si fu risvegliato dall’ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: “Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavisarà per i sui fratelli!” E aggiunse: “Benedetto sia il Signore, Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo! Dio dilati Iafet e questo dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo!”[cfr.Tentori 1989: 173].
[79] Per realizzare questa seconda alternativa, paradossalmente Elijah Muhammad ebbe dei rapporti segreti con i membri del Ku Klux Klan e incaricò proprio Malcolm di contrattare con loro. Secondo l’accordo, il Klan avrebbe ceduto ai Muslim parte degli stati della Georgia e della Carolina del Sud non appena la destra (razzista) fosse andata al potere. Ma cosa avrebbero dovuto dare in cambio i Muslim? Forse il loro appoggio politico...
[80] Cfr. il paragrafo sul nazionalismo nero rivoluzionario, capitolo IV.
[81]Mentre i "dozens", la più graffiante tra le schermaglie verbali delle culture di strada afroamericane, sono un gioco crudele perché lo scopo è di distruggere l’interlocutore con le parole, il più "gentile" signifying risparmia spesso l'avversario e fa sfoggio di spirito, fantasia, creatività e perizia combinatoria.
[82] Le figlie di Malcolm X, Gamilah e Ilysah, in arte “Shabazz sisters”, sono diventate due cantanti rap e utilizzano in viva voce i più accesi slogan del padre. Il loro CD si intitola America’s Living In A War Zone.
[83] Destava molto stupore sentir
dire che Gesù Cristo non aveva la pelle bianca, gli occhi azzurri e i capelli
del color dell’oro, come da sempre veniva raffigurato e pensato
nell’immaginario collettivo. Egli era un Ebreo e aveva il colore e i tratti
somatici tipici degli Ebrei che a quel tempo vivevano in Palestina. Di che
colore sono gli Ebrei? Possiamo ipotizzare che egli non fosse affatto di pelle
bianca. Come troviamo scritto nella Bibbia:
“...I capelli erano simili a
lana...I piedi avevano l’aspetto del bronzo splendente...” [Apocalisse,
capitolo I, versetti 14-15]
[84] La Organization of African Unity (O.A.U.), l’Organizzazione dell’unità africana, fu creata nel 1963 alla Conferenza di Addis Abeba (22-25 Maggio) sulla base di un progetto dell’imperatore dell’Etiopia Hailé Sélassié. Gli stati membri sono cinquanta, tutti gli Stati indipendenti dell’Africa. La sede è ad Addis Abeba. Gli scopi dell’organizzazione sono principalmente: promuovere l’unità panafricana e la solidarietà degli Stati africani; difendere la loro sovranità, la loro integrità territoriale e la loro indipendenza; sopprimere tutte le tracce di colonialismo nel continente africano.
[85] I bianchi organizzati in
appoggio alla lotta dei neri
Ci furono dei bianchi che lottarono a sostegno delle rivendicazioni dei neri e per la rinuncia dei privilegi dei bianchi: John Brown fu un antischiavista che nel 1859 scatenò una rivolta armata di schiavi e per questo venne condannato a morte.
Tom Hayden, arrestato e processato per cospirazione insieme a Bobby Seale; due bande, un’avanguardia di bianchi poveri del Sud costituirono, unendosi alle Pantere Nere, la Rainbow Coalition; le White Panthers di Ann Arbor, Michigan, guidate da John Sinclair sostennero le Black Panthers.
[86] I viaggi di Malcolm, per la loro capacità catartica e rigenerativa, possono essere considerati l’esperienza centrale e fondamentale per il suo cambiamento ideologico. Essi sono stati dei “viaggi antropologici”: che costringono a smontare e rimontare le proprie interpretazioni e a riconsiderare le proprie certezze e minacciano l’ordine costituito del proprio pensiero. Essi sono l’esperienza della stridente alterità, della scoperta che rivoluziona i propri schemi mentali, uno shock culturale. Il viaggio può essere uno spostamento fisico, ma anche mentale e spirituale. Ed è questo secondo tipo di viaggio che Malcolm auspica per gli Afro-Americani [cfr.Sobrero 1992: 208/211].
[87] Cfr. con il paragrafo sull’atteggiamento razzista di Malcolm X quando era un ministro della Nazione dell’Islam.
[88] George Breitman, Harold Cruse and
Clifton DeBerry, Marxism and the Negro
Struggle, New York, Pioneer Publishers, 1965.
[89] (Traduzione libera mia): “Egli andò oltre il puro e semplice nazionalismo nero, in direzione del “radicalismo”...Ciò non contraddiceva la sua convinzione che i neri dovessero controllare le loro comunità; ma era qualcosa in più: nazionalismo nero, più un cambiamento fondamentale della società, più la trasformazione dell’intera società.
Malcolm stava cercando una definizione per questa nuova prospettiva, stava diventando un nazionalista nero rivoluzionario (...può aver esitato ad usare quella parola perché pensava che fosse un ulteriore ostacolo in quel paese)”.
[90](Traduzione libera mia) “Essere ebano”, “lo stato d’animo dominante delle masse nere negli Stati Uniti di oggi”.
[91] (Traduzione mia) “La filosofia politica del nazionalismo nero significa che noi dobbiamo avere il controllo della politica e dei politici della nostra comunità. Essi non devono prendere ordine da forze esterne...”.
[92](Traduzione mia) “Credo in una società in cui si possa vivere come esseri umani sulla base dell’uguaglianza”.
[93](Traduzione libera mia) “Il nazionalismo nero è un mezzo, ma non l’unico mezzo; è probabilmente un indispensabile mezzo per arrivare alla soluzione, ma non è esso stesso la soluzione del problema”.
[94] Cfr. la “Questione dell’Autodifesa” in Martin Luther King e Gandhi, cap.II e per le Pantere Nere, cap.II.
[95] L’Organizzazione
delle Nazioni Unite ha lo scopo permanente di favorire il rispetto dei diritti
dell’essere umano.
Tra le convenzioni sottoposte alla ratifica degli
Stati nel campo dei diritti umani c’è quello per la prevenzione e la
repressione del genocidio (1948), lo stesso a cui Malcolm X si riferì nella sua
denuncia.
Il 10 Dicembre 1948, l’Assemblea Generale ha
adottato una “Dichiarazione Universale dei
diritti dell’uomo” che proclama i diritti civili, politici, economici,
sociali e culturali di “tutti i membri della famiglia umana. “Considerato che
il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana,
e dei loro diritti, uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della
libertà, della giustizia e della pace nel mondo; ...
Considerato che è indispensabile che i diritti
dell’uomo siano protetti da norme giuridiche se si vuole evitare che l’uomo sia
costretto a ricorrere, come ultima istanza, alla ribellione contro la tirannia
e l’oppressione; considerato che è indispensabile promuovere lo sviluppo dei
rapporti amichevoli tra le Nazioni;...
Art. 1 - Tutti gli esseri umani nascono liberi e
uguali in dignità e diritti...e devono agire in uno spirito di fraternità
vicendevole.
Art. 2 - Ognuno può valersi di tutti i diritti e di
tutte le libertà proclamate nella presente Dichiarazione, senza alcuna distinzione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di
religione, di opinione politica...
Art. 3 - Ogni individuo ha diritto alla vita, alla
libertà, alla sicurezza della sua persona.
Art. 4 - Nessuno
potrà essere tenuto in schiavitù. La schiavitù e la tratta degli schiavi sono
proibite in tutte le loro forme.
Art. 5 - Nessuno sarà sottoposto a tortura né a pene
o trattamenti crudeli, inumani o
degradanti.
Art. 7 - Tutti sono uguali di fronte alla legge e
hanno diritto -senza distinzione- a un’uguale protezione contro qualsiasi provocazione a una simile discriminazione.
Art. 21 - ...3) La
volontà del popolo è il fondamento dell’autorità dei poteri pubblici; questa
volontà dev’essere espressa con elezioni...a suffragio universale...seguendo una procedura...che garantisca la
libertà del voto.
Art. 25 - Ogni
persona ha diritto a un livello di vita sufficiente ad assicurare la salute ed
il benessere suo e della famiglia... [Memo. Grande enciclopedia universale,
Rizzoli-Larousse, Milano, 1992].
[96] Il documento in cui Malcolm faceva appello ai capi di stato africani è pubblicato in R. Giammanco Malcolm X rifiuto, sfida, messaggio, 1994, Edizioni Dedalo, Bari pag189.
[97] Letteralmente significa: la palla (o scheda elettorale) o la pallottola. Gioco di parole intraducibile in italiano, per l’omofonia dei due termini in lingua inglese.
98 Un articolo de “L’Espresso” uscito il 28 Marzo del 1965, un mese dopo l’assassinio di Malcolm X, dice che nelle comunità del Sud dove si godeva del diritto di voto, i neri