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Porno contro il sindacato


di Elfi Reiter

Da "il manifesto" del 10 febbraio 2004


Un incontro con le «black panther» in versione padre e figlio

 

«Per fare film bisogna uscire fuori dal cinema, aggirarsi nelle strade, nella vita, trovare l'energia che fa diventare realtà i sogni, altrimenti le singole opere si fanno autoreferenziali e raccontano storie inverosimili scritte a tavolino». Lo dicono all'unisono Melvin van Peebles, leggendario autore di Sweetback, barba bianca e inseparabile sigaro in bocca, e Mario van Peebles, figlio affascinante 46enne dal grande sorriso con cappellino di lana nero con la scritta Baad Assss. Scopriamo che il termine è stato suggerito dall'ufficio censura Usa che tramite controllo nella banca dati delle parole vietate aveva trovato la parola già ammessa nel titolo del film girato dal padre nel 1971. Alla domanda cos'è cambiato in questi 30 anni, il vecchio Melvin risponde seccamente: «Non siamo sociologi, possiamo parlare di cinema però e qui dico che Hollywood è uguale al mondo degli affari, interessa solo il business, noi indipendenti dobbiamo crearci le nostre regole». E Mario aggiunge: «Per me la prospettiva è diversa, lui doveva rispondere al quesito: bianco o nero? Bisognava creare le possibilità per influenzare attivamente il pubblico. Mio padre ha attraversato il clima di lotta, che non comprendevo nella sua interezza ma che mi ha influenzato. Lui aveva girato in 18 giorni, io in 19. Mi aveva insegnato che chi sta dentro il sistema balla secondo la sua musica. E lui non faceva sport né suonava il rap, parlava un po' di olandese e francese, non aveva problemi con le altre razze. Ci sono due amori: ciò che si fa e con chi si fa. Amo il mio mestiere e ho visto le potenzialità. Per molti il successo di un film si vede solo sul piano economico, per noi risponde a un'agenda politico sociale culturale».

Melvin van Peebles racconta come per lui fu una necessità girare Sweetback nel periodo in cui essere nero voleva dire essere in prima linea. Malcolm X e Martin Luther King erano stati uccisi. I Black Panther avevano ordinato a tutti i membri di andare a vedere quel film perché comunicava un piano umano. Quella stessa umanità che Melvin aveva voluto creare nella sua troupe, al 50% neri, asiatici, a quei tempi non graditi come tecnici, al pari delle donne. Lui era riuscito a trovare il buco nelle regole dettate dal sindacato, tutti bianchi, e il buco riguardava il porno. Ecco perché girò una scena porno il primo giorno di riprese, sapendo che sarebbero arrivati gli ispettori che infatti li trovarono a guardare i giornalieri della scena sexy. Dopo non sono mai più tornati.

«Il sesso era una scelta imposta da condizioni esterne, e poi durante le proiezioni aveva comportato l'intrusione in sala della polizia, una volta in una sala a Broadway, temevano che fosse scoppiato qualcosa. Invece era il pubblico che rideva della scena in cui uno della gang in moto dice di voler scopare...». Poi precisa però che le armi vere ce le avevano sul set, ma non come oggetti di scena bensì per difendersi da eventuali attacchi, personali.

«Mio padre era il primo a difendere gli interessi dei neri al cinema, ma non nel senso specifico della razza, lui voleva dare a tutti gli oppressi la possibilità di esprimersi. E mi sono reso conto che il contesto politico in cui girava mio padre, ora è tornato protagonista. Ma è solo autorganizzandosi che si può lavorare contro questa pessima situazione», insiste Mario dicendo che il filo che unisce i due è cresciuto nei tempi di estrema difficoltà, regalandogli un grande sense of humour e un atteggiamento positivo verso la vita. «Di Mario mi fido ciecamente solo quando mi paga - precisa Melvin - sono andato sul set una volta sola per fare l'inquadratura che si vede alla fine, lui invece ha partecipato a entrambi i film. Abbiamo parlato molto». È importante per chi inizia poter imparare sbagliando, dice poi con tono riflessivo, lo dovrebbe capire chi finanzia e chi fa i film, dove per i secondi vale innanzitutto sapere che dopo ogni caduta ci si rialza. Non serve coltivare l'odio, quanto apprendere a gestire i problemi.