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El-Hajj Malik El-Shabazz (Malcolm X)


"Islam, rivoluzione e razzismo"


di Federica Mereu

 

VI

 

Nazionalismo nero rivoluzionario

In seguito al pellegrinaggio alla Mecca, l’hajj, in parte a causa dell’influenza dell’Islam ortodosso che sottolinea la fondamentale unità di tutti gli esseri umani di fronte ad un unico Dio, in parte per essere venuto a contatto anche con rivoluzionari di pelle bianca, Malcolm X ripudiò il razzismo in tutte le sue forme e da allora giudicò uomini e donne in base alle azioni e agli atteggiamenti e non più per il colore della pelle.


In seguito alla rottura con Elijah Muhammad e la sua setta, Malcolm X aderì alla dottrina islamica ortodossa, ma la lotta dei neri era una questione che andava affrontata e risolta sul piano politico. Il 28 Giugno 1964 fondò l’Organization of Afro-American Unity (OAAU), un movimento a carattere laico costituito allo scopo di stabilire un rapporto di comunicazione e di aiuto reciproco tra gli Afro-Americani e i loro fratelli Africani sulla base di un programma volto alla conquista dei diritti umani “by any means necessary”.


Malcolm X alla ricerca di una sintesi fra nazionalismo nero e socialismo rivoluzionario: la sua nuova filosofia politica, economica e sociale era il nazionalismo nero rivoluzionario.


Mentre l’obiettivo politico degli integrazionisti, politicamente riformisti e moderati e incapaci di guardare ciò che accadeva nel mondo circostante, era il riconoscimento dei diritti civili dei neri, l’integrazione e quello dei nazionalisti era la completa separazione tra bianchi e neri e di fatto questo atteggiamento rendeva il movimento nazionalista politicamente conservatore e statico, il nazionalismo nero rivoluzionario auspicava il rovesciamento dello status quo e la riorganizzazione rivoluzionaria dell’intera società attraverso un cambiamento radicale dell’economia, della struttura politica, delle leggi, del sistema educativo e la sostituzione della classe dominante con un nuovo governo basato sulle forze che si oppongono al razzismo.


I rivoluzionari non si sentivano parte della minoranza nera in America; essi si identificavano con l’umanità di colore, con i popoli scuri che, sulla scena mondiale, erano la maggioranza e stavano cominciando a far sentire la loro voce in difesa dei diritti umani.

“...Io non sono Americano. Sono uno dei ventidue milioni di uomini dalla pelle nera che sono vittime dell’americanismo, uno dei ventidue milioni di vittime della democrazia che non è altro che un’ipocrisia travestita...Io vi parlo da vittima del sistema americano...e non riesco a vedere nessun sogno americano. Quello che vedo è un incubo americano” [Giammanco 1994: 146].


Qualunque rivolta fosse scoppiata negli Stati Uniti, non avrebbe dovuto essere considerata isolatamente, ma parte di una rivoluzione a livello mondiale che in quegli anni stava avanzando ovunque sulla terra. “Rivoluzione” nel senso di Umwaelzung, che significa “completo rovesciamento”. I bastioni dell’imperialismo e della “supremazia bianca” sarebbero stati inevitabilmente travolti dall’“invincibile marea storica dell’umanità oppressa”. L’ingiustizia razziale, colonna portante del funzionamento della macchina capitalistica, non avrebbe mai potuto essere risolta all’interno del sistema vigente negli Stati Uniti d’America.

 

 

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